Legal Thriller #1: Scott Turow, Presunto Innocente
"Presunto innocente" di Scott Turow rimane un classico dei legal thriller.
Ci sono opere che inaugurano un genere e opere che, nello stesso momento, lo trasformano in profondità.
"Presunto innocente" ("Presumed Innocent", 1987) di Scott Turow appartiene a entrambe le categorie. Con questo romanzo, il legal thriller conquista il grande pubblico internazionale ma, soprattutto, acquista una nuova profondità morale, psicologica e istituzionale. Non si tratta soltanto di una storia di tribunali costruita con impeccabile tensione narrativa, bensì di una vera e propria indagine sull’ambiguità della verità, sul potere, sulla colpa e sulla fragilità stessa dell’innocenza.
La vicenda si svolge in una grande città americana senza nome, attraversata da feroci conflitti interni tra procure, apparati politici e ambizioni personali.
La morte violenta di una brillante magistrata apre un’indagine che, in apparenza, procede lungo i binari classici del giallo giudiziario, tra moventi, contraddizioni e segreti. Ma ben presto il caso rivela una natura più oscura e perturbante, trasformandosi in una discesa progressiva nei meccanismi profondi (e spesso opachi) della giustizia.
Il protagonista è un vice procuratore distrettuale di grande esperienza, un giurista razionale e perfettamente integrato nell’apparato giudiziario. Proprio questo stesso apparato, però, finirà per giudicare anche lui, trascinandolo in un processo che diventa, al tempo stesso, accertamento dei fatti e resa dei conti con la propria vita privata, con i compromessi professionali, con le relazioni di potere e con tutto ciò che normalmente resta nascosto dietro le facciate istituzionali.
La tensione narrativa che Turow costruisce non nasce tanto dall’azione quanto dal conflitto costante tra verità processuale e verità umana, tra ciò che può essere provato e ciò che può solo essere intuito.
Prima di "Presunto innocente", il romanzo giudiziario oscillava spesso tra il freddo proceduralismo tecnico e il melodramma spettacolare. Turow introduce invece un legal thriller adulto, radicalmente realistico, profondamente ambiguo sul piano morale.
Il lettore non assiste a una rassicurante contrapposizione tra buoni e cattivi, ma viene immerso in un sistema in cui la giustizia appare come una macchina imperfetta, i magistrati non sono eroi, la verità è spesso una costruzione instabile e l’innocenza non è mai un dato semplice o definitivo.
Il tribunale non è più il luogo retorico della dimostrazione, ma un campo minato in cui le prove non parlano da sole, i testimoni mentono, gli avvocati sbagliano e i pubblici ministeri difendono carriere, equilibri e alleanze. Tutto è umano, fin troppo umano. Ed è proprio per questa ragione che il romanzo è diventato un classico della letteratura giudiziaria: perché mostra il diritto non come un sistema ideale, ma come una pratica quotidiana esposta al fallimento, al desiderio e alla paura.
La forza più profonda del libro risiede nella sua tecnica narrativa, in quella che si potrebbe definire una vera e propria "legalizzazione del racconto". Turow non utilizza il processo come semplice sfondo, ma come struttura portante dell’intera narrazione.
Il romanzo procede come un autentico fascicolo giudiziario, fatto di deposizioni, interrogatori, atti, perizie, strategie difensive e improvvisi rovesciamenti processuali. All’interno di questo schema rigoroso, tuttavia, lo scrittore innesta una prima persona potentissima, che trasforma il legal thriller in un romanzo psicologico di straordinaria intensità. Il lettore diventa parte integrante del conflitto: ogni dubbio, ogni omissione, ogni paura si trasmette in modo diretto, quasi claustrofobico.
La domanda che accompagna la lettura non è soltanto chi sia il colpevole, ma fino a che punto siamo disposti a credere alla nostra stessa versione dei fatti. Il diritto si trasforma così in una lente per esplorare l’identità, e non soltanto in uno strumento per accertare responsabilità.
Il successo planetario del romanzo ha dato origine a importanti trasposizioni. Nel 1990 Alan J. Pakula ne ha tratto un celebre film con Harrison Ford, destinato a diventare uno dei legal drama più iconici degli anni Novanta.
La pellicola ha saputo mantenere la tensione psicologica del romanzo, portando sullo schermo un protagonista tormentato, distante dai modelli eroici tradizionali del cinema americano, in un’atmosfera cupa, tesa e priva di retorica che conserva ancora oggi una sorprendente attualità.
Nel 2024 "Presunto innocente" è tornato anche in forma seriale su Apple TV+, attraverso un adattamento contemporaneo capace di dialogare con il linguaggio delle piattaforme e di ampliare ulteriormente l’orizzonte narrativo, approfondendo i rapporti tra potere, media, politica giudiziaria e crisi dell’autorità istituzionale. È la prova che questo romanzo continua a parlare con forza al nostro presente.
Dal punto di vista storico-letterario, "Presunto innocente" rappresenta una vera e propria cesura. È il libro che ha aperto la strada a intere generazioni di autori, da John Grisham a Richard North Patterson, da Lisa Scottoline a Michael Connelly nella sua declinazione più giudiziaria. Dopo Turow, il legal thriller non potrà più limitarsi a spiegare come funziona un processo, ma dovrà raccontare come il processo trasforma le persone. Il tribunale cessa di essere un tempio astratto della legge e diventa il luogo in cui si giocano ambizioni, vendette, fragilità ed errori irreversibili. In questo senso, Turow ha fatto per il diritto ciò che il grande romanzo psicologico ha fatto per l’identità: ha mostrato che non esiste una verità senza conflitto.
Leggere oggi "Presunto innocente" significa confrontarsi con questioni più che mai attuali, dal rapporto tra giustizia e media alla spettacolarizzazione dei processi, dalla crisi della fiducia nelle istituzioni all’uso strategico della verità, fino alla responsabilità morale dei giuristi.
È un romanzo che parla certamente agli operatori del diritto, ma che riguarda in profondità anche i cittadini, perché mostra come il diritto non sia soltanto un insieme di regole, bensì un dispositivo narrativo potentissimo, capace di cambiare destini, costruire colpe e distruggere reputazioni.
In definitiva, "Presunto innocente" non è semplicemente un thriller ben scritto. È il libro che ha insegnato alla letteratura che il processo è una forma di racconto, e alla giustizia che ogni verità è fragile, è un romanzo che non si limita a intrattenere, ma inquieta. E che, proprio per questo, non si dimentica.