Legal Tech Books (S01 E02): Giuseppe Riva, "Fake News"

Il tema delle fake news è ben illustrato, in tutti i suoi problemi, da Giuseppe Riva in un suo recente libro che recensiamo in queste pagine.

Legal Tech Books (S01 E02): Giuseppe Riva, "Fake News"

1. Lo sfondo delle problematiche

Il tema delle fake news, che potremmo tradurre letteralmente, in un primo momento, con la locuzione “notizie false”, è un fenomeno assai interessante perché coinvolge temi politici, sociali, tecnologici, psicologici e caratteriali (degli autori e delle vittime) ma, soprattutto, perché, con l’avvento degli smartphone e dei social network, è mutato radicalmente nelle modalità attraverso le quali si manifesta.

Da un lato, quindi, non è possibile comprendere compiutamente il fenomeno se non mantenendo un approccio interdisciplinare.

Dall’altro, è sempre fondamentale cercare di valutare e “pesare” l’impatto reale che hanno avuto le tecnologie e i social network semplicemente per il fatto che, secondo gli esperti, hanno radicalmente alterato il panorama. In altre parole: un tema classico come le notizie false, che è "vecchio come l’uomo", è stato riscritto in forme nuove nella attuale società digitale.

In questa recensione del bel libro di Giuseppe Riva ne approfitto, anche, per fare un po’ il punto iniziale – una sorta di “introduzione” – a temi che sono stati sviluppati in maniera più specifica in altri testi ma che dovrebbero essere conosciuti da tutti, utenti e cittadini, quantomeno nei princìpi di base.

Il libro alla base di questa recensione, dicevo, è di Giuseppe Riva, si intitola “Fake news” ed è stato pubblicato da Il Mulino nel 2018.

Si tratta di un libro snello ma che si presenta subito come molto curato, preciso, documentato, con riferimenti costanti a storia, sociologia, politica e diritto ma, soprattutto, a psicologia e scienze comportamentali, e con un apparato di note, e bibliografico, che consente comunque ai più curiosi di approfondire le nozioni schematizzate o, a volte, solo accennate, dall'Autore, nelle pagine.

Abbiamo detto, in esordio, che la locuzione “fake news” indica, nel sentire comune, la diffusione di notizie false.

Vi è però un particolare riferimento, negli ultimi anni, a quelle notizie false che sono diffuse in rete, mentre si parla molto meno delle notizie false diffuse con modalità tradizionali o “analogiche” che dir si voglia.

Spesso viene anche utilizzato il termine “disinformazione”, che ci sembra abbia una connotazione più politica e, mi sia consentito, "istituzionale" (è spesso riportato in documenti ufficiali, anche dell’Unione Europea) e che, soprattutto, ci richiama alla mente anni passati e di controllo politico e sociale.

L’Autore nota in primis, correttamente, come “fake news” sia anche una locuzione che è spesso utilizzata come “arma” nei dibattiti, pubblici o privati che siano, per zittire l’avversario, per chiudere la discussione e, in definitiva, per non dialogare.

La frase “Quella è una fake news”, che ormai sentiamo quotidianamente, è la tipica espressione/accusa capace di chiudere un dialogo, soprattutto in ambito politico e quando vi sono tempi televisivi o radiofonici ristretti e, al contempo, non è semplice definire l’oggetto della discussione.

Si pensi, per fare un esempio, all’accusa di sostenere fake news rivolta a un politico che stia cercando di illustrare, in pochi minuti, un complicatissimo piano economico, o strategia finanziaria, che sarebbe complesso da spiegare, al cittadino medio, in ore e ore di dialogo e di spiegazioni. L’accusa, magari non fondata, blocca comunque il dialogo e facilita, ovviamente, il soggetto che non deve spiegare ma che vuole solo aggredire verbalmente e togliere tempo all’interlocutore.

Il fenomeno della “produzione” di fake news è da considerarsi, secondo Riva, una vera e propria emergenza dei tempi moderni. Esistono, oggi, migliaia di siti, in tutto il mondo, che hanno come obiettivo editoriale (e unica ragione di esistenza) proprio quello di creare fake news. Sono, in altre parole, vere e proprie “fabbriche” di fake news. L’Autore si riferisce, in questo caso, non solo a news palesemente false, ma anche a news che presentano dei fatti reali ma in modo distorto, orientato esplicitamente al supporto di tesi pregiudiziali e, soprattutto, con l’intenzione di generare nel lettore (meglio se utente/elettore) odio e disgusto.

Spesso questa diffusione di false notizie ha ordini di grandezza enormi che ci risulta difficile immaginare e quantificare (superiori ai numeri, ad esempio, che generano oggi i grandi quotidiani online). Vantano, quindi, la capacità potenziale di raggiungere TUTTI i soggetti che sono connessi in rete.

2. Il motivo dell’esistenza delle fake news e le caratteristiche nuove di questo fenomeno

Giuseppe Riva nota, correttamente, come le fake news siano prodotte essenzialmente per due motivi: i) per guadagnare soldi, ossia per generare profitto o ii) per generare consenso (che, nell’ambiente dei social network, è da tempo considerato una valuta ben spendibile).

Il consenso generato è, di solito, finalizzato a portare instabilità politica o sociale. A generare caos, insomma.

Circa i soldi, invece, le news sono pensate come vere e proprie “esche da click” (“clickbait”) affinché, grazie ai proventi della pubblicità, possano arricchire i creatori delle notizie stesse. Spesso non si comprende, quindi, come alla base del fenomeno che stiamo illustrando vi sia un vero e proprio commercio. Ed è un nuovo mercato che permette profitti assai rilevanti.

Allo stesso tempo, sottolinea l’Autore del libro, le fake news sono in grado di orientare lo scontro politico, e le scelte dei cittadini, soprattutto in contesti elettorali o pre-elettorali. Se vengono osservate sotto questo profilo, le fake news assumono anche un chiaro fine politico, e prendono la forma di una vera e propria “arma di disinformazione”.

Riva nota come le fake news (ma, soprattutto, il loro processo di creazione) siano radicalmente diverse dai processi di disinformazione che sono da sempre presenti in società e (soprattutto) nei regimi politici, anche se spesso si tende a sostenere che nulla è cambiato nella diffusione di notizie false (e che, in fondo, “ci sono sempre state”).

Secondo Riva, la differenza radicale è che queste news sono, oggi, in grado di influenzare i soggetti con un coinvolgimento mai visto prima e, al contempo, con una velocità nuova.

Per di più, non solo sono capaci di modificare la percezione della realtà del soggetto che viene “colpito” dalle fake news stesse, ma sono anche in grado di influenzarlo fino al punto di spingerlo a condividerle in maniera spontanea e partecipata.

Questa osservazione di Riva è interessante e molto puntuale perché, come si nota chiaramente, non si concentra sul contenuto delle news (che, a volte, non cambia rispetto alla disinformazione “tradizionale”) ma sul contesto (“viralità”, “condivisione”, “engagement”) e sulla vittima (che viene addirittura convinta, in molti casi, a condividere le notizie false, a farle circolare e, in definitiva, ad alimentare il mercato e, sia consentito il termine, diventa così “complice”).

La storia delle moderne fake news appare legata, allora, a doppio filo alla storia della tecnologia, e non si può scindere l’evoluzione di questo fenomeno da ciò che è successo negli ultimi quindici anni, soprattutto con l’avvento dello smartphone e delle reti sociali.

Il loro legame con l’uso dei social network è probabilmente la parte più interessante da analizzare, e ha ancora molti lati oscuri.

Giuseppe Riva cerca di individuare alcuni aspetti molto interessanti, pur consapevole che anche i più grandi studiosi faticano ancora, oggi, a comprendere fino in fondo le reazioni che occorrono nella mente umana “connessa” nel momento in cui si imbatte in una fake news.

L’origine moderna di un’idea di fake news su larga scala viene fatta risalire, come è ben noto agli appassionati di cronaca politica, agli avvenimenti politici occorsi attorno alla campagna elettorale presidenziale di Donald Trump negli Stati Uniti d’America. Si parla, quindi, di un’origine molto recente.

Negli eventi nordamericani, però, assume un ruolo interessante anche l’intervento della Russia, soprattutto a seguito delle accuse mosse da Hillary Clinton circa un incredibile (e senza precedenti) attacco alla democrazia volto ad esasperare le divisioni in un Paese straniero (approfittando anche della perdita di fiducia dei cittadini americani nelle istituzioni).

Si era in presenza, quindi, sia di una strategia politica interna mirata, sia di un vero e proprio attacco da parte di Stati stranieri.

3. Una vera e propria guerra dell’informazione

Se analizziamo il tema delle fake news dal punto di vista appena esposto poco sopra, nota Riva, potremmo azzardare tranquillamente nel paragonarle, nel loro utilizzo politico, a una vera e propria forma di “guerra non convenzionale” in corso. È una guerra che mescola le teorie della scienza della comunicazione con quelle psicologiche con lo scopo finale preciso di convincere le persone. Vi è, in corso, in sintesi, una vera e propria “guerra psicologica dell’informazione”.

L’azione, nota l’Autore, consiste quasi sempre nell’occupare in maniera massiccia lo spazio informativo per veicolare notizie false nella lingua di quel Paese individuato come target e all’interno di quel territorio.

Si cercano, così, di sabotare e influenzare i processi di comunicazione e di trasmissione delle informazioni anche allestendo agenzie o realtà commerciali deputate ad hoc.

Si agisce, poi, sulla coscienza dei cittadini degli Stati che sono gli obiettivi dell’aggressione e, in pochi giorni, con simili tecniche, si può destabilizzare un Paese.

A questo punto, Riva descrive, nel suo saggio, l’interessante (e, per molti versi, ancora misteriosa) attività dell’Internet Research Agency di San Pietroburgo e le sue attività di disinformazione.

Siamo in presenza di soggetti, per dare un’idea al lettore non esperto, che creano ogni giorno migliaia di contenuti digitali e che popolano quella che è anche stata definita una “fabbrica dei troll”, pronta a intervenire in ogni spazio informatico con notizie filo-Cremlino, creando fake news e utilizzando le proprietà dei social network per imporle come fatti sociali all’interno del gruppo di riferimento, al punto di spingere tutti i soggetti a condividerle in maniera spontanea e partecipata.

Il tutto, nota l’Autore, avviene sovente in maniera completamente invisibile, senza che le istituzioni e, spesso, anche le piattaforme si accorgano di quello che sta succedendo e, soprattutto, della capacità che hanno queste strategie di avvelenare il dibattito in corso. La stessa Facebook, si ricorda nel libro, è stata accusata di non “essersi accorta” di ciò che stava capitando sulla sua piattaforma, prima con il caso di Cambridge Analytica e, poi, con il caso di Trump e dei bot russi.

Un secondo punto, non marginale, è l’economicità di questo sistema: con un budget abbastanza limitato si raggiungono centinaia di milioni di persone, spesso potenziali elettori, e questo aspetto lo rende, ovviamente, ancora più pericoloso.

4. Gli elementi caratteristici delle fake news

Nella parte centrale del suo saggio, Giuseppe Riva passa opportunamente ad analizzare nel dettaglio, dopo aver descritto lo scenario, gli elementi che caratterizzano principalmente le fake news moderne.

La premessa è quella cui già si era fatto cenno: la caratteristica più visibile è sicuramente questa incredibile capacità di impattare sui soggetti (e sui gruppi sociali) con una velocità, e un coinvolgimento, mai visti prima nella storia della disinformazione.

Entrando più nel dettaglio, secondo Riva i meccanismi ad hoc che fanno “funzionare” le fake news sono, oggi, almeno cinque.

1. Le fake news, nota l’Autore, sono costruite in modo da riflettere gli obiettivi, gli interessi e le personalità dei membri della comunità. Si tratta di un obiettivo facile da raggiungere grazie alla potenza che hanno, oggi, i sistemi di profilazione degli utenti.

2. Le fake news vengono viste da un numero sufficientemente elevato di membri della comunità. Anche questo è facile, dal momento che oggi gruppi su Facebook (ma, anche, su WhatsApp) possono convogliare migliaia, se non milioni, di soggetti.

3. I membri della comunità, terzo punto, non si accorgono che le notizie sono false. Ciò è facile, vedremo, anche a causa di un generale calo di attenzione nei confronti della reale natura dei contenuti.

4. Le altre notizie presenti nella comunità non sono significativamente in contrasto con i contenuti delle fake news. Detto in altre parole, le fake news si inseriscono bene in un contesto informativo che apparentemente, come tematiche e conclusioni, sembra in linea con i contenuti delle fake news.

5. Un numero molto basso di membri della comunità si informa al di fuori di esse. Non vi è, quindi, una verifica delle fonti “al di là del messaggio sullo smartphone”.

Le caratteristiche dei social media, nota Riva, sembrano proprio essere pensate per facilitare il raggiungimento di tutti questi obiettivi nefasti.

Il primo obiettivo, ricorda l’Autore, è quello di creare delle fake news che ottengano il supporto della comunità in cui si vogliono diffondere. Questo obiettivo si raggiunge (semplicemente) incarnando in termini di comportamento, personalità e identità sociale le aspettative e i valori degli appartenenti a quella rete.

Ecco perché i contenuti delle fake news, in una prospettiva di efficacia, devono essere coerenti sia con la conoscenza condivisa dalla comunità, sia con la personalità e le aspettative dei suoi membri.

L’autore di fake news, nota Riva, guarderà allora costantemente i trend topics, o gli argomenti principali di cui si discute su un sito, pagina o profilo, “ascoltando” le reti anche partecipando alla vita della comunità o usando strumenti automatizzati che analizzano i contenuti e le conversazioni.

Il fine è quello di ottenere, prima di far circolare delle fake news, dei dati molto dettagliati sugli argomenti più discussi, sull’orientamento positivo o negativo della rete nei confronti dell’argomento, sulla presenza di opinioni divergenti o di influencer che potrebbero aiutare nella diffusione delle notizie false.

Siamo in presenza di una vera e propria opera di comprensione sia degli argomenti di cui si parla, sia della personalità dei soggetti che compongono quella comunità o quel gruppo di discussione, tanto che Riva, nel testo, arriva a parlare di “persuasione psicologica di massa”.

Un passaggio interessante del libro è quello che accenna all’uso, per tali fini, di test di personalità  (tramite domande specifiche, si cerca di definire un profilo).

Uno dei test più tradizionali, che Riva cita nel suo libro, fu pensato per  valutare la personalità di un soggetto in base a cinque parametri/dimensioni fondamentali.

1. La prima dimensione dell’individuo è l’energia (orientamento fiducioso ed entusiasta nei confronti delle circostanze della vita).

2. Il secondo elemento è l’amicalità (altruismo, prendersi cura, dare supporto emotivo, o ostilità, indifferenza, egoismo).

3. Il terzo aspetto è la coscienziosità (precisione e accuratezza, responsabilità e perseveranza).

4. Il quarto è la stabilità emotiva (ansia, depressione, irritabilità, problemi dell’umore).

5. Il quinto è l’apertura mentale (apertura verso nuove idee, verso gli altri, verso i sentimenti).

Cambridge Analytica, come è noto, operava proprio su questi aspetti e con simili strategie. Vi è una possibilità concreta, oggi, di utilizzare i commenti fatti online, i “mi piace”, i comportamenti tenuti in rete, come veri e propri indizi di detti aspetti della  personalità, e tutti i “mi piace” e informazioni correlate diventano disponibili e visibili se l’utente non “alza”, nelle impostazioni, il proprio livello di privacy.

La stessa rete di amici diventa essenziale per costruire, come si diceva poco sopra, il comportamento nella sfera sociale o ambiente “comunitario” nel quale l'utente opera quotidianamente. In questo caso, se non è la piattaforma la prima a proteggere gli utenti, diventa veramente elementare effettuare simili operazioni di profilazione.

Un secondo punto importante, nota Riva, è la visibilità della notizia sulla piattaforma, una visibilità che viene condizionata anche dai like e dagli apprezzamenti della comunità per tale informazione.

Se poi, alla base della visibilità sulla piattaforma, vi è un sistema di “intelligenza artificiale” o, comunque, automatizzato, diventa possibile cercare di ingannarlo.

Se a ciò aggiungiamo il fatto che gran parte degli utenti sono all’interno di una bolla informativa, ossia tendono a conservare le loro idee e minimizzano il confronto con visioni alternative che le possano contaminare, si trovano all’interno di un universo di informazioni che è specifico per loro, e sono succubi di meccanismi invisibili di selezione dei contenuti che portano ad escludere ciò che non corrisponde esattamente ai loro gusti, tutto ciò, come è chiaro, impedisce ovviamente confronto e spirito critico.

Se la fake news è costruita esattamente in base al profilo degli utenti, conclude Riva, nessuno la metterà mai in discussione, anzi ne faciliteranno la diffusione e daranno alle notizie false un’ulteriore cassa di risonanza.

5. I fattori che riducono la capacità critica degli utenti

Ci sono altri fattori, nota Riva, che riducono ulteriormente la capacità critica degli utenti e che contribuiscono, così, a disegnare un quadro di sfondo ancora più preoccupante.

Un primo fattore, evidente, è la bassa attenzione dedicata comunemente ai contenuti da parte delle persone, che sono ormai abituate a un’analisi superficiale delle informazioni proposte (Riva parla di 8 secondi di attenzione media per ogni contenuto!). Ciò comporta una conseguenza chiara: che le informazioni di bassa qualità si trovano ad avere la stessa, identica probabilità di diventare virali di quelle di alta qualità, dal momento che la rete è la prima a non discriminare tra contenuti di alta e di bassa qualità.

Un secondo elemento preoccupante, nota l’Autore del libro, è che il soggetto è tipicamente resistente al cambiamento: davanti a una scelta da effettuare, la scarsa attenzione spinge il soggetto a scegliere notizie e contenuti che non siano tali da entrare in conflitto con la propria visione del mondo. E questa resistenza, segnala Riva, influenza anche le scelte del gruppo, soprattutto quando la scelta stessa tende a polarizzarsi verso le scelte estreme, che garantiscono il consenso del gruppo, e non verso nuove informazioni che possano emergere dalla discussione. Non ci sono quasi mai, insomma, argomenti che tendano verso la direzione opposta, ma vi è quasi sempre una radicalizzazione delle posizioni esistenti.

Se aggiungiamo il fatto, conclude Riva, che non si esce ormai dai social media per leggere, ma che le reti sociali hanno assunto un ruolo centrale nella costruzione della nostra identità, si comprende che il quadro è completamente nuovo.

Senza contare, ultimo ma non ultimo, il costante (e grande) dibattito su cosa sia vero o cosa sia falso, o sul “livello” di verità dei post. È sempre possibile individuare un fatto citato in una notizia come qualcosa che abbia consistenza vera e reale, ossia immediatamente evidente, vera e propria esperienza diretta? Purtroppo no. Se a ciò aggiungiamo, nota correttamente l’Autore, che il digitale permette di cambiare i contenuti e di modificarli affinché possano sembrare veri, e che le immagini e i video sono ormai il cuore delle fake news, il timore dei deep fake e della facilità di manipolazione dei contenuti che offre il digitale aumentano ulteriormente le preoccupazioni.

6. Tre possibili soluzioni che l’Autore propone

Secondo Riva, nel quadro che abbiamo poco sopra descritto, possono intervenire, per cercare di migliorare la situazione, i)delle norme, ii) dei fact-checker o iii) può intervenire il singolo utente. Analizziamo tutti e tre questi aspetti/rimedi.

Il ruolo delle istituzioni, e l’intervento della politica, dei Legislatori, dei Governi, pone problemi enormi. Le idee vanno lasciate “libere”, secondo la più pura tradizione nordamericana, perché il sistema è in grado di discriminare ed evidenziare le idee migliori, o il quadro attuale è completamente diverso rispetto a quello che era stato immaginato nell’Ottocento e nel Novecento? Di certo, scrive Riva, nei social media non accade questo, le idee migliori non “raggiungono la superficie” naturalmente, soprattutto se l’utente si chiude in una bolla e se si “premiano” in visibilità non le idee migliori ma quelle più popolari, magari alterando anche i meccanismi e i risultati grazie a falsi profili. Nel contesto istituzionale diventa allora particolarmente centrale comprendere il punto della protezione dei dati degli utenti e come proteggerli. Se i dati personali che possono servire a profilare gli utenti vengono, alla fonte, protetti il più possibile (con norme quali, ad esempio, il GDPR), il quadro di discrezionalità di chi crea fake news può essere limitato (anche se rimane sempre il problema, assai grave, dei dati che sono auto-esposti dagli utenti in cambio di servizi).

Un secondo rimedio possibile, secondo l’Autore del libro, è un potenziamento delle attività di gruppi o singoli che fanno fact-checking, ossia verificano la corrispondenza ai fatti delle notizie più diffuse. Si tratta, però, di un lavoro che è costoso, richiede pazienza e tempo e non sempre è, all’interno dei sistemi di informazione (che oggi sono, in molti casi, in crisi) sostenibile economicamente.

Terzo, ma non ultimo, è lo spirito critico del singolo individuo. Con un aumento dello spirito critico, dell’attenzione alle notizie che si leggono, aumenterebbe anche la “resistenza” alle fake news. Il problema, in questo caso, è che siamo in un periodo storico in cui tutti dipendiamo dallo smartphone e dagli impulsi informativi che ci arrivano in ogni secondo e che annullano, proprio, il nostro spirito critico (che avrebbe bisogno di tempo per svilupparsi e manifestarsi al meglio).

Nella parte finale del saggio Giuseppe Riva riporta, come esempio interessante, alcune regole di base che Facebook ha pubblicato sulla piattaforma per cercare di orientare i propri utenti nel mondo delle fake news. Sono interessanti: disegnano un percorso utile non solo sui social network ma, in generale, come modalità corretta di affrontare le informazioni oggi. Le regole sono le seguenti (tra parentesi, ci sono alcuni commenti miei).

1. Non ti fidare dei titoli urlati (in molti casi l’uso del maiuscolo o, comunque, di termini suggestivi, clamorosi, volgari, discriminatori, entusiastici o, comunque, “amplificati” è il metodo principe per attirare subito l’attenzione e suggestionare il lettore).

2. Controlla bene l’indirizzo del sito (ci siamo tutti imbattuti in siti che giocano su singole lettere, o invertono caratteri, per trarre in inganno il lettore e far credere che il sito sia, in realtà, quello “ufficiale”).

3. Fai ricerche su chi ha scritto la notizia (sarebbe opportuno investire un po’ di tempo per verificare l’autore della notizia, se un autore c’è, e vedere la sua produzione, quali altre notizie ha fatto circolare, che precedenti ha).

4. Fai attenzione alla formattazione (spesso un testo sciatto, pieno di errori, è indice di una cattiva traduzione o di una creazione automatizzata del testo stesso o, comunque, di una dubbia provenienza. È la stessa strategia che andrebbe adottata con le verifiche delle e-mail di phishing).

5. Fai attenzione ai contenuti digitali, immagini e video ritoccati o immagini reali ma fuori contesto (questo, abbiamo visto, è un problema delicatissimo, vista la facilità non solo di creare immagini, video o materiale multimediale completamente falso, ma anche di recuperare dalla “memoria” della rete delle informazioni datate e riproporle come nuove o collegate a un contesto che non era il loro).

6. Controlla le date (un controllo della linea del tempo, quasi giornalistico, consente di comprendere la verità o meno di una notizia).

7. Verifica le testimonianze (si tratta di un classico controllo delle fonti, per cercare un elemento che possa corroborare il fatto indicato).

8. Controlla se altre fonti hanno riportato la stessa notizia (è chiaro che, nel panorama informativo attuale, se una notizia è presente in un solo luogo può essere indice di falso).

9. La notizia potrebbe essere uno scherzo (qui diventa necessario che l’utente comprenda come distinguere le notizie vere da quelle satiriche o create appositamente per fare divertire il pubblico di un sito o di una comunità).

10. Alcune notizie sono intenzionalmente false (esistono realtà che, sui loro siti o pagine, pubblicano volontariamente notizie false, e in tal caso l’utente dovrebbe essere in grado di comprendere immediatamente il contesto).

Giuseppe Riva conclude il suo saggio indicando, in maggior dettaglio, le cinque caratteristiche delle fake news che dovrebbero interessare non solo gli interpreti che studiano il fenomeno ma anche gli utenti che le trovano quotidianamente sulle piattaforme che frequentano o sugli schermi degli smartphone che usano.

1. Le fake news sono, oggi, ottimizzate per generare una forte risposta emotiva capace di spingere il lettore alla mobilitazione, per generare sdegno e rabbia (questo lo definirei l’aspetto "psicologico" delle fake news).

2. Le fake news sono personalizzate (questo lo definirei come l’aspetto della "profilazione" e del micro-targeting).

3. Le fake news sono automatizzate (questo è l’aspetto dei bot e dei sistemi evoluti per generare e diffondere notizie false su larga scala senza l’intervento dell’uomo o con un minimo investimento di risorse uomo/tempo rispetto al risultato ottenuto).

4. Le fake news sono create in forma multimediale e con contenuti pensati per facilitarne la diffusione sui social network (e qui occorre porre attenzione, si diceva, ai falsi).

5. Le fake news sono create per sembrare vere (e qui vi è l’aspetto dell’inganno, che è molto importante soprattutto nei confronti di utenti con una preparazione culturale, o una soglia di attenzione, molto bassa).

Una piccola Bibliografia di riferimento

Giuseppe Riva, Fake news, Il Mulino.

David Puente, Il grande inganno di Internet, Solferino.

Mauro Dorato, Disinformazione scientifica e democrazia, Raffaello Cortina.