Legal Tech Books (S01 E01): Byung-Chul Han, "Psicopolitica"
1. Il neoliberalismo digitale
Il primo libro di cui ci occupiamo nella Prima Stagione di Legal Tech Books è lo studio del filosofo Byung-Chul Han intitolato “Psicopolitica”. Si tratta di un testo del 2014 pubblicato nel 2016 da Nottetempo. L’Autore è nato a Seul, ed è docente di filosofia e studi culturali a Berlino.
Il sottotitolo assai interessante, non riportato in copertina, è “Il neoliberalismo e le nuove tecniche del potere”.
Si tratta di un testo che unisce tematiche afferenti filosofia, storia, politica, tecnologia e, in alcuni passaggi, anche religione, al fine di evidenziare i problemi odierni della società digitale.
Lo studio del filosofo coreano si apre con una domanda (ed è una domanda non da poco...): siamo realmente, oggi, soggetti liberi e non più sottomessi, che delineano e reinventano loro stessi con modalità sempre nuove o, al contrario, siamo ancora di più sottomessi e controllati (pur senza che uno se ne accorga)? Probabilmente il lettore sa già che la posizione del filosofo, su questo punto, è molto pessimistica (se non apocalittica), ma lo vedremo a breve.
Ma, soprattutto, è possibile che l'essere umano si sia liberato da tutti i vincoli esterni (finalmente) ma sia succube di altri tipi di vincoli e, in particolare, di vincoli e costrizioni interiori, e auto-imposte, che lo forzano alla prestazione e alla ottimizzazione quotidiana delle sue attività?
Secondo il filosofo - e questo punto è descritto senza mezzi termini nelle prime pagine del Saggio - viviamo in una fase (epoca) particolare in cui "la stessa libertà genera costrizioni". La libertà non dovrebbe, sulla carta (e nella sua evoluzione storica generalmente considerata) generare costrizioni e, invece, oggi genera burnout e depressione in un soggetto che è diventato un servo assoluto perché sfrutta sé stesso senza necessità che vi sia un padrone a sfruttarlo.
Questo isolamento totale sarebbe portato dal regime neoliberale, che sfrutta in maniera intelligente proprio la libertà e si serve di tre aspetti/mezzi importantissimi: i) emozione, ii) gioco, e iii) comunicazione. Ciò comporta che il soggetto (ad esempio: l'utente dei social network) sia sfruttato ma NON contro la sua volontà (ossia: è consenziente).
Il neoliberalismo farebbe infatti del lavoratore un imprenditore. Oggi ciascuno è un lavoratore che sfrutta sé stesso per la propria impresa. Ognuno, scrive il filosofo, è "padrone e servo in un’unica persona".
Ma vediamo, con ordine e punti, attraverso quali passaggi, e concetti, il filosofo arriva a dette conclusioni in un centinaio di pagine fitte di riferimenti filosofici e storici.
2. L’illusione della libertà digitale
Inizialmente, nota il filosofo, la rete digitale fu salutata come un medium di libertà illimitata. Si era in presenza del mondo della libertà (e mobilità) sconfinata del web, senza confini, senza limiti di espressione, senza controllo centralizzato.
Questa euforia iniziale si rivelerebbe, oggi, un’illusione. La libertà e la comunicazione illimitate si sono rovesciate, oggi, in controllo e sorveglianza totali.
L'autore del Saggio definisce i social media come i nuovi panottici digitali (ecco perchè, come immagine iniziale in questa recensione, abbiamo scelto un disegno del panopticon "modernizzato") che sorvegliano lo spazio sociale e lo sfruttano senza pietà. Un nuovo panottico, insomma, ma molto più efficace perchè sfrutta la potenza del digitale.
Il filosofo ricorda come i detenuti del progetto del panottico benthamiano venissero isolati l’uno dall’altro allo scopo di imporre una disciplina (e non potevano parlare tra loro), mentre gli abitanti del panottico digitale, al contrario, comunicano intensamente l’un l’altro e si denudano volontariamente. Abbiamo, quindi, isolamento nell'idea originaria, abbiamo invece dialogo e comunicazione incessante e continua nel nuovo "carcere" digitale. Dialogo che, si vedrà, contribuisce a rendere efficace il sistema di controllo.
Gli utenti/cittadini/carcerati contribuirebbero attivamente alla creazione e "manutenzione" del loro panottico digitale: la società del controllo digitale fa un uso massiccio della libertà, e questo sistema di controllo/carcere diventa possibile soltanto grazie all’autoesposizione e all’auto-denudamento volontari. Il Grande Fratello digitale esternalizzerebbe (in un vero e proprio outsourcing) il suo lavoro ai detenuti, tanto che la divulgazione dei dati non avviene in modo costrittivo, ma risponde a una sorta di bisogno interiore.
Anche la trasparenza dell’informazione di cui tanto si parla in rete (e tanto lodata da molte parti) sarebbe finalizzata a rendere ancora più efficace questo sistema di controllo, perché più informazione e più comunicazione significano più produttività, maggior accelerazione e maggior crescita e, quindi, maggior voglia di produrre e diffondere ancora più dati.
Senza contare, conclude il filosofo, che in questo nuovo panottico digitale tutti sorvegliano tutti, ogni utente sorveglia l'altro, per cui la sorveglianza ha luogo anche SENZA sorveglianza ma è gestita dai sistemi di comunicazione, da sistemi di diffusione delle notizie e dei dati, e si basa su una sorta di accordo generale tra gli utenti.
3. L’elettore come consumatore e la psicopolitica digitale
In quadro come quello descritto nel Paragrafo precedente, continua il filsoofo, il cittadino (e anche e soprattutto l’elettore) diventano consumatori. Oggi l’elettore, in quanto consumatore, non ha alcun interesse reale per la politica, né per la costruzione della società o per la partecipazione attiva all'interno della sua comunità, ma reagisce solo in maniera passiva alla politica. Lo fa criticando e lamentandosi, "proprio come fa il consumatore di fronte a prodotti o servizi che non gli piacciono", e i partiti e i politici sono diventati invece semplici fornitori di prodotti.
Si pensi quanto può essere interessante, per il mondo politico (soprattutto in periodo pre-elettorale) il fatto che gli elettori si denudino di loro spontanea volontà SENZA alcuna coercizione, senza alcun obbligo. I cittadini immettono volontariamente in rete tutti i dati e tutte le informazioni su loro stessi, senza sapere chi sa cosa sul loro conto e quando e come lo ha appreso. Non vi è più controllo su questi dati, e l’idea di protezione è obsoleta.
Questo è il passaggio che, secondo il filosofo, ha segnato l'avvio verso l’era della psicopolitica digitale, un'era che vede il passaggio dalla sorveglianza passiva al controllo attivo e che va a colpire la stessa nostra volontà (e la volontà del cittadino/elettore).
I big data, in questo contesto, diventano uno strumento psicopolitico estremamente efficace, dal momento che consentono di estrarre un sapere sconfinato sulle dinamiche della comunicazione sociale e, soprattutto, permettono di elaborare previsioni sul comportamento umano.
Il futuro, in tal modo, diventa calcolabile e controllabile, e i big data annunciano la fine della persona e della libera volontà.
In questo quadro apocalittico, lo smartphone è diventato l’oggetto devozionale del digitale, è usato per sottomettere e per destabilizzare e ha la stessa funzione del rosario. Smartphone e rosario servono alla sorveglianza e al controllo del singolo su se stesso. Nessuna differenza. Così come il like è diventato l’amen digitale, e lo smartphone un vero e proprio confessionale mobile.
4. Il potere tramite la benevolenza
Sullo sfondo, ci sarebbe un potere che non usa più la violenza ma una forma di potere permissiva, plasmata sulla benevolenza, che ha deposto la negatività e si presenta come emanazione di pura libertà. Ciò dà orgine a una forma di controllo che è subdola, duttile, intelligente e, soprattutto, non visibile.
Il soggetto sottomesso non è, a questo punto, mai cosciente della propria sottomissione, il rapporto di dominio resta celato così il soggetto si crede libero perchè agisce ogni ora e ogni giorno (soprattutto passati su smartphone e social network) attraverso piacere e soddisfazione. Il risultato, si diceva, è che il cittadino/utente/elettore si sottomette da sé.
Questo nuovo "potere tramite la benevolenza" non vuole rendere docili gli essere umani, ma li vuole rendere dipendenti. È un potere più affermativo che negativo, più seduttivo che repressivo, che si impegna a suscitare emozioni positive e a sfruttarle, "che seduce invece di proibire". Si tratta di un potere che non si oppone al soggetto, ma gli va incontro, che lo invita di continuo a comunicare, a condividere, a partecipare, a esprimere le sue opinioni, i suoi bisogni o preferenze, a raccontare la sua vita. Il like è il suo segno di potere, è lo strumento per raggiungere tutto questo.
5. La psiche e gli oggetti immateriali
Il neoliberalismo, secondo l'Autore del saggio, non si interessa al corpo della persona ma alla psiche, e vede la psiche come forza produttiva. Ciò è strettamente dipendente dalla forma di produzione dell’odierno capitalismo, determinato da forme di produzione immateriali e incorporee.
Non vengono più prodotti oggetti materiali, ma immateriali, come informazioni e programmi, e ciò consente per la prima volta di controllare l'immateriale attraverso la psiche del cittadino.
6. Una nuova forma di sorveglianza e il ricorso alle emozioni
Al contempo, nel regime neoliberale vi è stato anche l'abbandono dell'idea di stato di sorveglianza orwelliano all'interno del nuovo panottico digitale. Nel panottico digitale vi è l’illusione di una libertà e di una comunicazione illimitate. In questo nuovo luogo non si viene torturati, ma si viene twittati o postati. Soprattutto, nessuno si sente realmente sorvegliato.
Il regime neoliberale ricorre, poi, alle emozioni come risorse per realizzare maggiore produttività e prestazione, dal momento che sono emozioni che hanno lo scopo di suscitare un maggior stimolo all’acquisto e più bisogni. Bisogni e stimoli che trovano realizzazione immediata, manco a dirlo, nell'ambiente/mondo digitale.
In questo quadro di controllo si usa intensamente anche il gioco, la ludicizzazione del mondo della vita e del lavoro, e un sistema di ricompense. Nella logica della gratificazione attraverso i like, gli amici e i followers, anche la comunicazione sociale è oggi sottomessa alla modalità del gioco.
7. I big data e il “Dataismo”
I big data, secondo il filosofo, sono una parte essenziale, se non centrale, di questa forma assai efficace di controllo. La sorveglianza digitale, in particolare, è a-prospettica, libera dalla restrizione prospettica analogica, e rende possibile la sorveglianza da qualsiasi angolo visuale, elimina gli angoli ciechi ed è in grado di scrutare sin dentro la psiche.
Ciò si raggiunge attraverso il Dataismo, ossia la capacità di raccogliere enormi quantità di dati, di misurare tutto ciò che può essere misurato (ma soprattutto: tutto ciò che può essere misurato DEVE essere misurato).
I big data, in questo quadro, sono una lente per filtrare l’uomo e i suoi pregiudizi, per arrivare a predire il futuro. E questo panorama nuovo (e preoccupante) appare più chiaro se comparato all'Illuminismo.
Nel primo Illuminismo, in particolare, era la statistica che avrebbe dovuto liberare il sapere dal contenuto mitologico e aprire la strada, finalmente, a un sapere oggettivo, fondato su cifre, condotto su base numerica.
Nel secondo Illuminismo, la parola chiave è la trasparenza, per cui i dati diventano un medium trasparente. Ciò comporta che tutto debba diventare dato e informazione sino ad arrivare a un totalitarismo dei dati (o feticismo dei dati) che porta a un totalitarismo digitale.
Secondo il filosofo, servirebbe un Terzo Illuminismo digitale che ci possa illuminare, appunto, sul fatto che l’illuminismo digitale si sia rovesciato in servitù. Che il Secondo Illuminismo è diventato l’età del sapere guidato unicamente dai dati, senza bisogno né di teoria, né di intuizione. E ha ventilato l'enorme, e concreto, rischio di una barbarie di dati.
Si aggiungano, per concludere, i) il nichilismo imperante nel mondo dei big data e ii) il quantified self.
Il nichilismo prende la forma della rinuncia totale al senso delle informazioni, con cifre e dati che vengono assolutizzati, sessualizzati e feticizzati.
Il quantified self è invece una fede assoluta nella misurabilità e nella quantificabilità della vita che è arrivata a dominare l’epoca digitale sino a far sì che il corpo venga dotato di sensori che, automaticamente, registrano i dati.
Siamo in presenza di un'epoca che raggiunge la conoscenza delle persone attraverso i numeri. Ma i numeri, scrive il filosofo, contano, NON raccontano.
Oggi, in questo quadro di nuovo controllo, ogni clic e ogni parametro di ricerca che gli utenti immettono viene salvato, ogni loro passo nella rete è osservato e registrato, la loro vita si riflette nella rete digitale. Qesta società digitale controllata rende possibile protocollare l’intera vita, e l'utente/cittadino/elettore è sorvegliato, oggi, anche dalle cose che utilizza quotidianamente. La nuova prigione ha preso la forma di una "memoria totale di natura digitale".
L'Autore non può non ricordare, su questo punto, ciò che è avvenuto durante le campagne statunitensi, dove big data e data mining hanno consentito uno sguardo a 360 gradi sugli elettori generando profili estremamente precisi. Se questa azione viene unita ad attività di micro-targeting per rivolgersi in maniera mirata ai soggetti, e alla creazione di messaggi personalizzati per influenzarli, lo strumento di controllo è completato (e perfetto).
Ciò conduce al titolo del libro: la possibilità di dar vita a una psicopolitica basata sui dati che permetta di formulare previsioni sui comportamenti dell'elettore, di ottimizzare il messaggio indirizzato a lui e di modellare l'intera campagna elettorale, o azione politica, sui singoli individui.
8. L’idea di inconscio digitale
Le conclusioni sono che il nostro inconscio digitale e i nostri dati sono ora leggibili da tutti, e ciò permette anche la leggibilità dei nostri desideri, persino di quelli di cui non siamo espressamente coscienti.
I big data che danno accesso al nostro inconscio di azioni e inclinazioni, allora, permettono la creazione di una psicopolitica in grado di innestarsi in profondità nella psiche dell'elettore e in grado di sfruttarla a propri fini.
L'Autore nota una analogia abbastanza evidente tra big data e cinepresa: proprio come una lente digitale, l'azione di data mining permette di "ingrandire" le azioni umane e di rivelare il campo d’azione dell’inconscio, sino a rendere assai evidenti delle micro-azioni che si sottraggono alla coscienza della persona.
Un passaggio interpretativo che il filosofo fa, molto interessante, è la possibilità di interpretare anche l’inconscio collettivo, ossia di gruppi di individui, e la possibilità di condizionarlo.
La conclusione, come è noto, è che i dati vengono commercializzati. Ciò comporta che dal Big Brother si passa al Big Deal, al grande affare. Con anche una possibilità di catalogazione degli esseri umani in classi a seconda dei loro big data e di escluderli da servizi o beni a seconda della loro posizione in queste graduatorie (in questo caso l'Autore parla efficacemente di ban-opticon).
Come reagire a un mondo/società digitale/ban-opticon dove gli esseri umani privi di valore economico sono spazzatura, non alcun valore?
La necessità è quella, conclude il filosofo, di diventare una sorta di (nuovi) eretici, di rivolgersi alla libera scelta e alla non conformità. Per cercare, come scopo finale, di mettere in crisi un simile sistema.