La società dei sensori, Edward Snowden e i metadati

L’ESSENZA DELLA SOCIETA’ DEI SENSORI

Il comprendere l’essenza della società dei sensori, per chi viene dalla vita di provincia, è molto semplice.

La tipica vita di provincia è una vita che si svolge costantemente in una società di sensori, dall’alba dei tempi.

Nel mio paese natale, Castelfranco Emilia, il bar sulla via Emilia, di fronte alla chiesa, è sempre stato il sensore principale.

Le signore sedute al bar sono i sensori satellite: sono soprattutto esperte in riconoscimento facciale. Senza necessità di algoritmi di produzione israeliana.

Il parroco e il carabiniere sono due sensori.

La vicina, poi. Gli occhi della vicina, dal terrazzo, hanno più prospettiva e campo di un drone.

Stefano Rodotà, nei suoi discorsi, ricordava spesso, per richiamare questa originaria società dei sensori, uno scritto di Antonio Delfini, “Il Ricordo della Basca”, considerato il vero capolavoro dello scrittore modenese, che descriveva proprio i sensori di provincia.

Uno scrittore ormai decaduto, che viene divorato da Modena, da una provincia fatta di figure corrotte. Passeggiava nella via Emilia con delle donne bellissime, e le persone “si giravano a commentarlo”.

Parleremo, allora, di sensori che già conoscete nella loro essenza, nel loro funzionamento, però sono molto differenti.

Non cambia la volontà di controllo, sia interpersonale, sia dello Stato.

Ma cambiano i sensori utilizzati.

UN PRIMO LIVELLO DI SVILUPPO: LA STASI

Timothy Garton Ash è uno storico di Oxford.

Nel suo libro “Il dossier”, descrive i sensori della Guerra Fredda, e della attività della STASI. Li trovate anche nel film “Le vite degli altri”, o in libri scritti anche da ex direttori della STASI.

Da giovane dottorando arrivò a Berlino Est, e quando riaprirono gli archivi nel 1989 scrisse la sua biografia non per come si ricordasse lui quegli anni, ma per come erano stati veramente.

La rete di informatori era la forza. Erano i sensori. Circa 120.000, alcuni dicono fino a 200.000. il periodo della Guerra Fredda non è solo quello correlato agli studi che poi portarono a Internet ma anche a una nuova prospettiva di controllo, più moderno, sistematico, incorporato nella società. Gli stessi informatori erano controllati, preparavano dei dossier ma c’erano anche dossier che li riguardavano a fini di controllo.

CONTROLLO ORWELLIANO E CONTROLLO KAFKIANO

Si cominciano, in quegli anni, a delineare due tipi di controllo, quello orwelliano e quello kafkiano.

Il primo ha come simbolo l’occhio, la telecamera.

Il secondo il labirinto, la burocrazia.

A volte si mescolano, ma sono molto diversi.

All’occhio puoi cercare di sfuggire. È secondo me quello più vulnerabile a tentativi di inganno. Vi ricordate i videogiochi dove ti devi nascondere dal fuoco delle telecamere? Il progetto Anopticon che da Venezia si è esteso a Padova, Foggia, Bari, Urbino, Pisa e altre città, cerca proprio di schedare le telecamere.

Nel labirinto perdi il controllo dei tuoi dati. Secondo me il controllo basato sulla burocrazia, sulle false informazioni, sugli errori, sull’impossibilità di risalire alla fonte, sulla mancanza di trasparenza è, oggi, il più delicato. E il più difficile da gestire.

Il caso di Cambridge Analytica è stato un caso tipicamente kafkiano, ma anche i numerosi data breach che occorrono oggi.

La società dei sensori afferra i nostri dati e noi non abbiamo la minima idea di come siano controllati e di come ci rappresentino.

La società dei sensori afferra i nostri dati e poi li perde. Li trasmette a terzi. Li rende pubblici.

SNOWDEN E I METADATI

Edward Snowden ha svelato un aspetto della società dei sensori fondamentale, che è l’interesse per il metadato, ossia i dati sui dati.

Nella percezione comune, il dato più importante è il contenuto immediatamente riferibile al soggetto.

Per chi controlla, no. Sono dati generati dai sensori che sono inseriti ormai nella nostra società.

Sono dati certi, generati indipendentemente dalla volontà del soggetto. Le compagnie telefoniche. I provider. L’utente non ci può fare nulla.

Una vignetta di Altan diventata celebre, con il suo personaggio che rientra in casa e trova la moglie a letto con uno sconosciuto.

“E quello chi è? Boh, sarà un hacker”. Oscurità e dubbio, confusione e muri di gomma.

In realtà tutto è loggato. Scrive Snowden:

“Molte persone, oggi, tendono a pensare alla sorveglianza di massa in termini di contenuto, cioè delle effettive parole utilizzate durante una telefonata o in un’email. La verità però è che il contenuto delle nostre comunicazioni rivela ben poco rispetto ad altri elementi, rispetto alle informazioni non scritte e non dette che possono risultare da un contesto più ampio. Per dirla meglio, i metadati sono dati di attività, riguardanti cioè tutto ciò che si fa sui propri dispositivi, e tutto ciò che i propri dispositivi fanno. I metadati possono rivelare a chi ti sorveglia dove hai dormito la scorsa notte e a che ora ti sei svegliato stamattina; ogni posto che hai visitato durante il giorno e quanto ci sei rimasto. Mostra le persone con cui sei entrato in contatto. È per questo che non bisogna considerarli come una mera astrazione, ma come un vero e proprio contenuto: è quella la prima informazione che cerca chi ti sta sorvegliando”.

È questa la prima informazione che raccoglie la società dei sensori.

Sono importanti anche per un secondo, inquietante motivo: sono generati in maniera indipendente dalla nostra volontà e, quindi, siamo, in poche parole completamente impotenti nei loro confronti. La società dei sensori opera spesso in maniera indipendente dalla nostra volontà.

“C’è un’altra cosa da dire: il contenuto è spesso definito come qualcosa che viene prodotto in modo volontario. Tu sai cosa stai dicendo durante una telefonata, o cosa stai scrivendo in un’email. Ma non hai alcun controllo sui metadati che produci, perché vengono generati automaticamente. È il dispositivo che li crea, senza la tua partecipazione né il tuo consenso. Gli apparecchi che usi comunicano di continuo, che tu lo voglia o no. E, a differenza degli umani con cui interagisci, i tuoi dispositivi non nascondono le informazioni private, né usano parole in codice con l’intento di essere discreti. Si connettono semplicemente alla torre più vicina e gli inviano segnali che non mentono mai.”.

GLI ASPETTI CRITICI

Quali sono le criticità che in questo quadro meritano una riflessione? Sono tante, ma ne vorrei individuare alcune.

1.   ESPOSIZIONE DEL LATO INTIMO

La prima è l’esposizione del lato più intimo delle persone che, al contempo, è quello che consente di profilarle al meglio ma anche di discriminarle o di condizionarle nella società dove viviamo.

Le tecnologie indossabili che tengono sotto controllo il nostro corpo.

Mai era possibile conoscere così tanti aspetti intimi della persona. Ma anche lo stato d’animo. Si chiamano dati sensibili proprio per quello. In particolare anche i dati dei minori.

Poi gli assistenti vocali che hanno violato anche le parti più intime della casa. Il bagno. La camera da letto.

2.   PROFILAZIONE DI MASSA

La seconda è una sorta di profilazione di massa che può generare ulteriori dati e informazioni su di noi che possono dare una falsa luce oppure svelare aspetti della nostra vita che neppure noi conosciamo.

La società dei sensori attuale sa di noi più di quanto noi si conosca noi stessi. Ma quanto ci conosce veramente? Può mostrare di noi una falsa luce?

Ha capacità di aggregazione, di correlazione, di memoria che l’essere umano non può avere.

3.   DIPENDENZA DAI BIG DATA

Lo scrittore emiliano Paolo Nori, nelle pagine del suo La grande Russia portatile, ricorda, a un certo punto, le disavventure di un cantante bolognese, Dino Sarti.

L’artista felsineo, di ritorno da un suggestivo viaggio in Russia, e in una canzone intitolata, appunto, Com’è la Russia, risponde, a tutti coloro che gli domandavano, animati da una tipica curiosità provinciale, su come fosse la Russia, be’, rispondeva “La Russia è grande”. Grande.

Lo stesso vale per i big data. I big data sono, innanzitutto, grandi. Sono enormi archivi di dati che ci riguardano, che ci descrivono, che ci profilano, che anticipano le nostre decisioni, che ci collegano ai nostri contatti, alla nostra rete sociale, che vengono correlati e generati in ogni secondo. Quando siamo collegati in rete ma anche quando non lo siamo. E che danno origine a ulteriori informazioni su di noi.

La loro caratteristica peculiare, in questa eterogeneità di formati e di contenuti, è che sono grandi: hanno raggiunto una dimensione, oggi, come volume, come data point(riferimenti precisi a noi, alla nostra personalità e alla nostra coscienza), come traffico, che spesso non è comprensibile in un’ottica di grandezza. E sono in continua crescita ed espansione.

4.   I SENSORI SI POSSONO RIBELLARE?

La quarta è la società dei sensori che si ribella.

Giulio Giorello, mentre andavamo insieme a Torino al festival del libro, mi parlava di un albo di Topolino con Gambadilegno nel futuro che prepara un esercito di robot per invadere la terra.

Topolino e le meraviglie di domani (The World of Tomorrow): pubblicata in strisce giornaliere sui quotidiani statunitensi dal 31 luglio all'11 novembre 1944.In Italia è stata pubblicata per la prima volta sui numeri dal 611 al 622 di Topolino giornale, in un periodo compreso fra il 2 novembre 1946 e il 18 gennaio 1947.

La società dei sensori ci valuta, ci premia, ci concede servizi o ce li nega, ci dà un punteggio con modalità oscure. Sino a una discriminazione

5.   I DATI CONTANO MA NON RACCONTANO

La quinta è come dice Byung-Chul Han che i dati contano ma non raccontano.

Il rischio che la società dei sensori ragioni solo con i dati e manca qualcosa. Manca la persona.

Manca l’attenzione al caso singolo.

Inizia un sistema di social sorting, di catalogazione degli individui che se ti cattura non ti molla più.

SIAMO CIRCONDATI DA SENSORI

E allora, per chiudere, dove vediamo noi i sensori oggi?

Telecamere, telefonini, tecnologie indossabili, smart watch, in ambito medico, oppure per tutta la nostra attività fisica, misurazione della pressione, della temperatura, del ciclo ormonale usata in ambito lavorativo.

E si può evitare questa cosa? Si può uscire dal sistema? No.

Si può limitare l’attenzione? Purtroppo molti dati sono indipendenti dalla nostra volontà.

Rodotà su questo punto era chiaro: parlava di dittatura dell’algoritmo e di prerogative della persona. Ormai la nostra sfera privata ingloba anche i nostri dati. Dobbiamo avere un diritto di accesso ai nostri dati. Dobbiamo avere il potere di rendere silenzioso il chip, di impedire la raccolta dei dati. Di disattivare il chip nel nostro telefono, nella nostra macchina, nella nostra casa, di non fare registrare i nostri percorsi. Ma non è la vera soluzione, davvero possiamo in ogni momento della nostra vita prestare attenzione a chi ci controlla e sviluppare gesti abituali e quotidiani con un supplemento di azioni fastidiose e apparentemente inutili? È il limite del chiamarsi fuori, l’affidare la garanzia del soggetto alla sola sua vigilanza, a una serie interminata di atti difensivi, mentre dal’altra parte i signori dell’informazione fanno ciò che credono e attendono.

Più importante è regolamentare questo quadro con attenzione alla volontà del soggetto, alla accettazione, alla centralità del ruolo del consenso.

La tecnologia, però, può aiutare: la cifratura dei dati, le modalità di navigazione anonime, software che evitano il tracciamento e i cookies, una particolare attenzione ai privilegi che diamo alle app.

Forse è un uso intelligente della tecnologia stessa che ci permetterà di opporci, anche con riferimento ai consensi che diamo al livello di pervasività degli strumenti che utilizziamo. Purtroppo: poco consenso, poca utilità.

Anche l’aspetto normativo, il GDPR, è stato pensato per questo ma arranca perché mette al centro l’individuo, in un bellissimo approccio europeo, ma al contempo deve stimolare l’economia digitale.

E, sullo sfondo, una nota positiva: abbiamo una rinnovata attenzione all’etica.

Si parla di etica della AI, etica dell’informatica in generale.

Si comincia a comprendere che anche nella società dei sensori, e delle macchine, occorre mettere al centro la persona.

Remo Bodei scrive che ococrre impedire che la persona venga considerata una sorta di miniera a cielo aperto dove chiunque può attingere qualsiasi informazione e così costruire profili individuali, familiari, di gruppo, facendo così diventare la persona l’oggetto di poteri esterni, che possono falsificarla, costruirla in forme coerenti ai bisogni di un società della sorveglianza, della selezione sociale e del calcolo economico.

Cita Spinoza: noi non siamo liberi perché non conosciamo le cause che ci spingono a desiderare e volere certe cose piuttosto che altre.

La società dei sensori intercetta e rielabora in ogni momento i nostri desideri, le nostre inclinazioni nel consumo, nell’orientamento politico, nella religione, e li rielabora con sapienza.

Non è il caso, allora, di domandarsi quanto sia a rischio la fonte della nostra libertà?