Il falcone maltese, l’uomo chiamato Flitcraft e il mondo noir di Dashiell Hammett

Il falcone maltese, di Dashiell Hammett, è un piccolo capolavoro di noir, cinismo e grande classe narrativa.

Il falcone maltese, l’uomo chiamato Flitcraft e il mondo noir di Dashiell Hammett

Leggere oggi ‘Il falcone maltese’, un giallo del 1931, è un’esperienza a dir poco affascinante.

Parliamo, ovviamente, di uno scrittore, l’ex investigatore privato Dashiell Hammett, e di un personaggio, Samuel Spade, che sono entrati nella storia, e che sono visti un po' come i padri della cosiddetta ‘hard-boiled school’ e di un ‘giallo d’azione’ (come è scritto chiaramente nell’edizione del 1981 di Mondadori che ho letto io) che ha avuto anche un buon successo cinematografico.

In particolare, John Huston portò nel 1941 Samuel Spade sul grande schermo (dopo una prima versione che ne fu fatta nel 1931) e ne cambiò subito i connotati, usando le fattezze di un meno spigoloso, ma altrettanto solitario, Humphrey Bogart.

Per chi è abituato ai gialli degli ultimi quarant’anni, le differenze si notano chiaramente già dalle prime pagine.

La descrizione dei luoghi, degli oggetti e dei comportamenti delle persone è a dir poco maniacale. Questo serve a ‘disegnare’ il luogo dell’azione per il lettore, semplicemente per farlo immergere il più possibile nell’azione. Quando un criminale si svuota le tasche su un tavolo, ad esempio, magari perché minacciato con una pistola, Hammett descrive ogni singolo oggetto, e sono tutti oggetti che non sono importanti per la trama (non nascondono, ad esempio, un indizio, o uno strumento del reato) ma servono solo al lettore per rappresentarsi perfettamente il contesto e, si direbbe oggi, la ‘location’.

Lo stesso viene fatto con le reazioni delle persone: i sorrisi, le urla, i commenti ad alta voce, i suoni gutturali, il movimento disperato delle mani, i pianti, le crisi isteriche, i cambi repentini di umore (e su questo, come è noto, Samuel Spade è un maestro…) per connotare psicologicamente i protagonisti.

Per l’epoca, questi erano gialli ‘forti’: la trama si muove nel sottobosco, tra piccoli criminali e killer d’esperienza, truffatori improvvisati e piccoli e grandi tradimenti, prostitute e ubriachi, omicidi e violenza.

Il dialogo, nei punti salienti della trama, è, per tutto il libro, molto fumoso e, per così dire, 'annacquato'. Si parla tanto, ma quando si deve svelare un passaggio critico (perché una vicenda è andata in un certo modo, chi è stato, per quale motivo si cerca un determinato oggetto) Hammett glissa, e porta il lettore verso le pagine finali. Questo è un po’ frustrante, ma è proprio anche della natura del protagonista, Sam Spade, che osserva tutto ciò che gli accade attorno, anche di tragico, con un cinismo e una superficialità da manuale e cerca di farsi scivolare tutto addosso.

Leggere ‘Il falcone maltese’ è un po’ come leggere un libro di scuola: si notano tanti artifizi che sono, poi, stati ripresi dai giallisti successivi e, al contempo, si nota la modernità dell’approccio che all’epoca fece scalpore (soprattutto per il rapporto problematico che Spade ha con le donne – un vero sciupafemmine, spietato – e con la polizia) ma che fu anche molto apprezzato dai lettori.

A pagina 69 della mia edizione c’è il passaggio forse più poetico e sentito di Hammett, la storia di un uomo chiamato Flitcraft, un individuo che un bel giorno uscì di casa e sparì, che lo scrittore mette in bocca, e fa raccontare, a Sam Spade. È un passaggio strano, del libro, che rompe l’azione e mostra uno Spade stranamente riflessivo (anche se un po’ fatalista). Il passaggio è questo:

“Andando a pranzo, era passato sotto un edificio in costruzione, di cui era stato eretto solo lo scheletro. Un pezzo di trave, o roba del genere, precipitò da un’altezza di otto o dieci piani e venne a cadere sul marciapiede a poca distanza da lui. Lo sfiorò quasi, ma non lo toccò; però un pezzo di marciapiede, proiettato in alto dall’urto, andò a colpirgli una guancia. Gli portò via solo un pezzetto di pelle, ma gli era rimasta ancora la cicatrice quando lo vidi. Se la massaggiava con un dito, dolcemente, con affetto, mentre me ne parlava. Naturalmente s’impressionò moltissimo, diceva, ma in realtà era rimasto più sbalordito che spaventato. Ebbe l’impressione che qualcuno avesse strappato via il velo che gli nascondeva la vita e gli avesse dato la possibilità di vedere le cose che lo circondavano”.

Questo tizio, racconta Spade, era stato un buon cittadino, un buon marito e un buon padre, semplicemente perché andava di pari passo con ciò che lo attorniava.

La vita che conosceva era una faccenda pulita, ordinata, sana e responsabile, e quel pezzo di trave che gli era caduto davanti gli aveva dimostrato che, sostanzialmente, la vita non è niente di tutto ciò. Il buon cittadino/marito/padre poteva essere cancellato da un momento all’altro da quella trave.

La vita, nel giallo di Hammett, è così.

Le vite dei suoi personaggi, tutti, sono così. Divise tra binari sociali e conformismo e tra voglia di imbrogliare, tradire e uccidere. C’è una tensione incredibile, costante, che fa sempre vedere tutti dalla parte sbagliata. Nessuno è pulito. Nessuno si salva. Nessuno è tranquillo.

Questi gialli si trovano ora nei mercatini dei libri usati, ai margini delle pinete, a 1 euro. Sono, però, dei piccoli capolavori, che spiegano molto anche di come si avvicinino al giallo alcuni autori moderni. E vi consiglio di non farveli sfuggire..