Dieci problemi sollevati da Squid Game
La polemica attuale su Squid Game solleva almeno dieci punti che necessiterebbero di un dibattito serio e ragionato.
Il dibattito che si è acceso in questi giorni anche in Italia sull’impatto di Squid Game sull'educazione, e serenità, dei bambini e, in generale, sui problemi che caratterizzano l'odierna società dell'informazione, è apparso ai più, stranamente, come un fulmine a ciel sereno.
La serie televisiva sudcoreana presente su Netflix – e stiamo parlando di una serie che, in poche settimane, è diventata un fenomeno mondiale, nonché il prodotto di tal genere più visto, e più di profitto, di tutti i tempi – non è stata soltanto apprezzata, o criticata, da milioni di spettatori, ma ha anche mostrato tantissime vulnerabilità del sistema attuale.
Tra richieste di oscuramento e di censura, accuse più o meno velate ai genitori per la loro assenza, richieste alle piattaforme di intervenire, critiche ai produttori di simili contenuti, delusioni per i comportamenti di molti minori, preghiere di azioni politiche, sociali, tecnologiche a ogni livello e, in generale, un senso di disorientamento diffuso soprattutto tra le generazioni più mature, siamo arrivati a un punto di discreto caos che domanda, a mio avviso, alcune riflessioni più pacate e, soprattutto, più sul lungo periodo. Di Squid Game, infatti, ne arriveranno altri, e ogni volta gli stessi problemi si riproporranno.
Il dibattito si dovrebbe concentrare (almeno) su dieci punti, e nessuno di questi, purtroppo, è di immediata o facile soluzione.
Vediamoli uno a uno.
1) La responsabilità dei genitori. In molti sostengono che al centro del dibattito e, quindi, del problema, ci dovrebbero essere solo, e soltanto, i genitori. Una totale mancanza di controllo sull’accesso ai contenuti per maggiorenni, o vietati ai minori di 14 anni, ha portato alla inevitabile conseguenza che tali contenuti siano, in realtà, consultati senza particolari problemi, e con particolare interesse, proprio da bambini in età compresa tra i 5 e i 14 anni. E questa situazione avrebbe dato vita a un quadro completamente fuori controllo. Ora, come sapete bene, il problema non è tanto il dare l’accesso a strumenti informatici ai bambini in tenera età – che è una cosa più che positiva, in sé, visto il potenziale educativo, ad esempio, del coding, e visto che il lavoro del futuro, per loro, sarà proprio in questi ambiti – ma è l’accesso indiscriminato alla connessione alla rete e a contenuti ormai presenti in ogni servizio, da YouTube a TikTok, da Instagram alle piattaforme di streaming. Le due cose vanno necessariamente separate. L’accesso (e l’utilizzo) fin dai primi anni di età di strumenti informatici, accanto a modalità di gioco tradizionali, può avere un valore educativo enorme: incentivo alla creatività, sviluppo del pensiero critico, accesso illimitato all’informazione, lavoro cooperativo e superamento dell’isolamento nei caratteri più chiusi, comprensione dell'importanza del gioco di squadra. Al contempo, però, occorre essere consapevoli che la rete non discrimina, e che un collegamento al network presenta inevitabilmente anche contenuti non adatti a un minore e che potrebbero turbarne lo sviluppo. La conseguenza, lineare, è una costante necessità di supervisione non solo intesa come controllo dei contenuti cui accedono i minori ma, anche, come capacità di individuare comportamenti critici o segnali di disagio. Squid Game è una serie violenta, molto complessa da comprendere nei suoi aspetti più di pregio, ossia quelli politici e sociali, e non è, nella maggior parte dei casi, “digeribile” e comprensibile in toto per un minore di 14 anni. È una di quelle serie, vedremo più avanti, da guardare insieme, spiegando chiaramente ogni piccolo passaggio. Ma così lo sono tanti contenuti in rete, e ciò comporta la necessità di un cambiamento anche nei genitori e nelle modalità tradizionali di relazionarsi con i figli. È cambiato il sistema di informazione, ormai da anni, e di generazione e diffusione di contenuti. Deve cambiare anche l’approccio educativo.
2) L’impossibilità tecnologica di rimuovere contenuti. L’esperienza tecnologica ci insegna, ormai da quasi 30 anni, che quando qualcosa inizia a circolare in rete non si può più rimuovere, e che ogni tentativo di proibirlo, filtrarlo, “bannarlo” può avere solo l’effetto di motivare ulteriormente i bambini a cercarlo e trovarlo senza problemi. Squid Game e le sue scene principali non sono più solo su Netflix ma sono incorporate in clip, meme e spezzoni su tutti i social frequentati dai minori, su YouTube, sui loro telefonini. Il suggerire una rimozione, o un oscuramento, dei contenuti non avrebbe alcun effetto. Quando il danno è fatto, si cerca di mitigarlo, di rimediare dopo a possibili effetti negativi, ma ormai il genio è uscito dalla bottiglia e richiedere censura non solo non ha alcun senso, ma è il modo scorretto (anche se il più semplice) di porsi nel dibattito con modalità che non vogliono, in realtà, affrontare il problema seriamente.
3) Dedicare parte del profitto generato da un prodotto con contenuti di violenza per pensare a barriere di accesso più forti. Alcune proposte, peraltro molto pacate, suggeriscono la possibilità di dedicare parte del profitto generato da serie con contenuti violenti per sviluppare modalità di accesso a tali contenuti che siano più stringenti, che aiutino a "tenere fuori" i minori dai contenuti stessi. Non è una cattiva idea, sarebbe una sorta di “riutilizzo sociale”, o “responsabile”, di parte dei profitti per limitare l’accesso a contenuti che possono essere di pregio per una certa generazione, e quindi vanno assolutamente tutelati, ma che possono essere dannosi per i minori e, quindi, generare ulteriori problemi nella nostra società. Anche in questo caso, però, vedo la realizzazione pratica molto complessa. La tecnologia che è alla base di Internet, e le modalità stesse con cui circolano i contenuti, andrebbero comunque ripensate completamente, e non basterebbero certo una parte di tali profitti per eliminare il "vecchio" (nel caso fosse possibile) e presentare un quadro più sicuro. Si veda, ad esempio, il problema ormai annoso legato ai contenuti pornografici, con barriere di accesso che, oggi, si rivelano praticamente inesistenti.
4) Il merchandising, i meme e i “rumors” attorno alla serie. Squid Game ha generato un mondo di piccoli e grandi giochi online e offline (molti diretti proprio a minori) che hanno contributo ad alimentare l’ossessione per la serie. Molti minori, anzi, sono più interessati alla parte ludica che alla parte di contenuti su Netflix. Anche in questo caso, l’accesso a tali giochi dovrebbe essere supervisionato se fatto da minori di età, perché sono videogiochi correlati comunque a contenuti per maggiori di 14 anni.
5) L’accesso completo a pornografia, odio, morte e violenza in capo ai bambini. Abbiamo avuto bisogno di Squid Game per comprendere che oggi pornografia, odio, violenza e morte sono accessibili ai bambini senza problemi. Del resto, l’età media di consegna di un cellulare di ultima generazione collegato a Internet è, oggi, di 5 anni. Focalizzando però l’attenzione su tali tipi di contenuti, si perde il lato positivo dell’accesso a tutte le altre informazioni, al patrimonio culturale ed educativo che si è generato sinora, e che si genera continuamente. Certo, a quella età è necessaria una supervisione costante, perché quelli sono, in molti casi, i contenuti che più attirano un bambino. E sono contenuti che a una certa età non sono comprensibili dai più giovani (si pensi, ad esempio, a un avvicinamento alla sessualità di un minore che avvenga prendendo visione unicamente di film pornografici). Ma oggi sia il mondo scolastico, sia il mondo dell’educazione, devono sempre tener conto del fatto che “il re è nudo”, che non sono più l’ambito famigliare o gli insegnanti a veicolare per primi informazioni delicate ma che il lavoro da fare è quello di spiegare, di orientare, di insistere sui temi della affettività, della non discriminazione, della legalità, dell'inclusione. O cercare di anticipare temi quale l’educazione sessuale, ancora un tabù in molti contesti, in base proprio a questo accesso generalizzato ai contenuti che porta a una situazione per cui i minori "già sanno" ma magari non sanno interpretare bene.
6) La necessità di dialogare e spiegare. Esistono serie televisive, programmi, libri, contenuti e videogiochi che possono essere un’ottima, e utile, occasione di dialogo per spiegare, per suggerire l’interpretazione in una modalità corretta. Per quale motivo una serie di questo tipo è diventata un fenomeno mondiale? Per i contenuti? Alcuni dicono sia semplicemente una cattiva imitazione di serie precedenti. Per la situazione economica che viene descritta? Per questa ricerca ed esibizione di uomini e donne senza pietà, abbagliati dal dio denaro? Per questo chiaro richiamo ai lager e ai campi di sterminio, dove vengono disumanizzate le persone, che diventano un numero, e sono poi uccise senza problemi? Per questi pochi ricchi che hanno potere di vita o di morte sulle persone grazie a un gioco? Certo, un dialogo di questo tipo richiede preparazione, sensibilità, il guardare almeno un paio di volte prima la serie per poi utilizzarla come momento formativo e di crescita anche criticandola, o facendo notare gli aspetti troppo violenti, splatter o noiosi o inutili. Ma sicuramente il guardare insieme può essere molto utile. In questo caso, direi quasi indispensabile. Per quale motivo, ad esempio, molti minori si immedesimano nei cattivi, negli aguzzini (sino a replicare comportamenti simili con i compagni di scuola), e non nei buoni? Ma, soprattutto, guardatela. Guardatela, per favore, anche se vi disgusta, fino alla fine, magari un paio di volte, per cercare di discuterne poi senza pregiudizi.
7) Il problema dell’identificazione degli utenti. Il caso Squid Game ha fatto anche notare l’impossibilità di identificare con cura gli utenti, soprattutto con riferimento alla loro età, in tutti i servizi del digitale odierno. I costanti richiami dei Garanti alle grandi piattaforme sul punto sono il segno di un momento di crisi. Del resto, se ci pensiamo, tutte le procedure di accesso e contrattuali sono fatte da adulti (l’abbonamento, il contratto della SIM, l’acquisto del cellulare), quindi i minori tra i 5 anni e i 14/18 ereditano, in pratica, tutto il parco strumenti e iniziano a usarlo senza "esistere", nella maggior parte dei casi, da un punto di vista contrattuale. Può essere possibile identificare in ogni minuto chi si collega e chi guarda i contenuti? E con quali modalità che non siano invasive, che siano sostenibili commercialmente e che non portino a una profilazione o a una catalogazione sociale? Abbiamo difficoltà, in molti casi, a identificare professionisti che partecipano da remoto a corsi di formazione, immaginatevi che problema identificare un mondo di minori, e un esercito di ragazzini, connessi 14 ore al giorno e che ha fame e va a caccia di contenuti.
8) Nuove culture e geopolitica in molte produzioni televisive attuali. Un aspetto molto interessante è il proliferare, sulle piattaforme di streaming, di contenuti provenienti da diverse culture. Spagna, Cina, Corea, Nord Europa, Messico. Si tratta di una opportunità culturale e di apprendimento enorme, che da un lato può disorientare (si pensi a come sono trattati, ad esempio, i temi del sesso o del nudo in Nord Europa, o i temi sociali in alcune serie orientali) ma che può essere una opportunità di apertura enorme alla tolleranza e alla conoscenza. Per la prima volta possiamo assistere senza problemi a film e serie provenienti da Stati l’accesso alla cui cultura, prima, era molto complesso per gli spettatori "comuni". Sono tutte occasioni per migliorare, per aprire la mente, per contaminarci ed essere, così, più tolleranti.
9) Un mondo di contenuti per adulti e il fallimento dei sistemi elementari di parental control. Ricordiamoci anche che i contenuti per adulti sulle piattaforme ufficiali sono ben segnalati e, anzi, in alcuni casi è prevista una specifica area per bambini con contenuti verificati. Spesso lo sconfinare in aree del sistema è una attività che il minore non vede l’ora di fare, ma che, in pratica, dovrebbe essere un po’ più complessa di come lo è ora. Una configurazione dei limiti di accesso, sia dal cellulare e app della piattaforma sia dal computer, che non renda possibile tale visione, o che segnali il tentativo, dovrebbe sempre esserci e, soprattutto, dovrebbe essere ben conosciuta dai genitori. Come dicevamo poco sopra, può non servire a nulla o a poco (i contenuti si trovano in altri modi), ma può far comprendere almeno, in un’ottica di responsabilizzazione, che si sta compiendo una operazione non corretta e che ci sono contenuti, nei servizi usati dai genitori o in famiglia, cui il minore non dovrebbe accedere.
10) Rendere la situazione, nei limiti, positiva (lesson learned). Squid Game è uscito. Circolerà per sempre. Il dibattito in corso non farà che aumentare la curiosità. È destinato a una curva di visualizzazioni che avrà una crescita spaventosa, nei prossimi giorni e settimane. Quale potrebbe essere, allora, un modo per rendere questa lezione “utile”? Beh, sicuramente guardare la luna e non il dito, smetterla di additare sempre le tecnologie e le piattaforme come la prima causa di queste situazioni, evitare di criminalizzare la tecnologia in sé, cercare di vedere tutto il buono che c’è in questa grande libertà di circolazione di informazione anche per l’educazione delle giovani generazioni. Soprattutto, può essere l’occasione per avvicinare i genitori ai contenuti culturali che sono ogni giorno “mangiati” dai figli, dal momento che il gap generazionale (anche come linguaggio, come gusti, come comprensione del digitale) è oggi fortissimo e non consente, negli adulti, una reale comprensione di ciò che sta succedendo ogni giorno in rete.