Danielle Citron e l’analisi del fenomeno delle molestie online

Strettamente connesso al tema dell’odio online è, per alcuni Autori, l’argomento cruciale delle molestie.

Danielle Citron, ad esempio, si concentra sulle minacce, sulle azioni di diffamazione e sui comportamenti d’invasione della privacy altrui che caratterizzano oggi il mondo online.[1]

Le molestie, nota l’Autrice, erano viste come parte essenziale e inscindibile del cosiddetto online engagement.

Il significato di tale espressione, in sintesi, è il seguente: se coloro che si definiscono vittime di molestie vogliono godere di tutti benefici della loro presenza su Internet, devono sopportarne i rischi e devono cessare di lamentarsi, dal momento che hanno deciso di loro volontà di partecipare a dibattiti con argomenti accesi o di condividere immagini intime.

Le molestie erano viste, dunque, come una sorta di “prezzo da pagare” in cambio di tutti i benefici che Internet avrebbe potuto offrire.

Questa era la teoria più diffusa: tutte le proposte di leggi anti-molestia entravano così in conflitto con il ruolo di Internet quale catalizzatore per i discorsi pubblici.

L’Autrice nota, però, come sovente, in conseguenza di simili abusi, gli attaccati cessino di parlare e chiudano i blog, i siti e i profili sui social network, e  non perché si siano stancati, ma perché sperano, così, di non fornire più un motivo per ulteriori provocazioni da parte dei loro attaccanti.

Poca attenzione è riservata, negli studi, a un tale potere di ridurre al silenzio le vittime.

Nel corso degli anni le vittime hanno iniziato a reagire e il quadro, nota la studiosa, è cambiato. Alcune vittime si sono lamentate pubblicamente della lentezza di reazione di grandi provider con riferimento, ad esempio, a chiare minacce di stupro fatte circolare, e hanno contribuito a diffondere l’idea che diverse società informatiche siano poco attente a temi così cruciali.

Altre vittime di revenge porn hanno iniziato a esporre in pubblico il loro problema e la gravità degli attacchi ricevuti, cercando di condividere non solo l’esperienza, ma anche le possibili strategie di difesa.

Molte attrici famose hanno condannato il leaking di foto che le riguardavano, evidenziandone non solo il comportamento illecito ma anche la violenza enorme portata alla persone.

Tutte queste reazioni hanno fatto sì che il Governo in USA si muovesse contro gli abusi online e che si avviasse un dibattito idoneo a rendere il pubblico più consapevole circa le sofferenze subite dalle vittime, la difficoltà nel trovare e mantenere un lavoro dopo episodi di tale tipo, l’aumento del rischio di attacchi fisici e di stress.

La molestia online è stata individuata come un fenomeno complesso, capace di interferire con il diritto di esprimersi liberamente (dal momento che zittisce le persone, specialmente quelle con meno potere politico o sociale, le donne e le minoranze razziali e religiose) e strettamente legato al fenomeno dell’odio online.

In un caso simile, appare chiaro il conflitto che si viene a creare tra la protezione delle espressioni di chi offende e la protezione delle vittime che sono, invece, silenziate nelle loro espressioni.

Non si può, al contempo, proibire il discorso vigoroso, robusto, aperto al pubblico, e la legge non può censurare i punti di vista odiosi o offensivi.

Secondo l’Autrice, innanzitutto i provider dovrebbero agire con politiche più restrittive in riferimento agli episodi di molestie che avvengono sulle loro piattaforme.

Gli utenti si dovrebbero sentire sicuri; si dovrebbe costituire una nuova cittadinanza digitale che rispetti i principi fondamentali, compreso quello di espressione, ma che garantisca al contempo un luogo civile di convivenza.


[1] Sul punto si veda Danielle Keats Citron, Online engagement on equal terms, in Internet all’indirizzo http://www.bu.edu/bulawreview/citron-online-engagement-on-equal-terms/.