Preparare un esame di profitto all’università (secondo un professore…)

Come preparare un esame di profitto all'università (visto da un professore)

Preparare un esame di profitto all’università (secondo un professore…)

Come preparare un esame di profitto

Raccolgo, assai volentieri, il suggerimento che mi ha "lanciato" su Facebook la cara collega, e bravissima studiosa, Anna Pintore, di elaborare un breve “tutorial” su come prepararsi per sostenere un esame di profitto all’università. Preparazione vista, ovviamente, dalla prospettiva del professore.

Sarà un po’ differente, il mio scritto, dai "tutorial" che si trovano oggi nelle prime cinque pagine dei risultati del motore di ricerca di Google e che si intitolano, di solito, “come preparare un esame in cinque giorni”, o “come preparare un esame in un quinto del tempo necessario”, o “come studiare mille pagine al giorno” o, addirittura, “come ingannare il professore, soprattutto se, ormai, è completamente rimbambito”. Né cercherò, ovviamente, di commerciare soluzioni e sostanze, o di vendere verità o metodi per l’apprendimento veloce o per il potenziamento della memoria. Illustrerò, semplicemente, la mia esperienza: un misto tra il mio percorso come studente universitario e post-universitario e i miei vent’anni "dall’altra parte della cattedra", con migliaia di esami verbalizzati in diverse università e contesti.

Non mi rivolgo, chiaramente, a chi vive il momento, e l’obiettivo, dell’esame come un semplice voto da prendere e "portare a casa" cercando di fare il meno possibile. Mi interessa quella percentuale, spero alta, di studenti che iniziano un percorso di studio seriamente e che sentono la necessità di un minimo di programmazione che permetta di raggiungere risultati concreti e di memorizzare, e consolidare, nozioni che rimarranno, poi, per tutta la vita o, comunque, per un lungo periodo.

È un approccio, oggi, fuori moda, lo comprendo. La disattenzione diffusa per la cultura, l’ignoranza che caratterizza gran parte della classe politica, l’idea che il lavoro d’intelletto sia ormai inutile nella società attuale del "fare" e del "lavorare" rendono certi discorsi molto difficili. Così come il vedere sempre di più il percorso universitario semplicemente come un passaggio, un viatico per un pezzo di carta e per poi, magari, fare altro. Però questo essere “fuori dal tempo” rende questa sfida ancora più interessante. Soprattutto, sono convinto che ancora qualcuno ci sia che possa essere interessato a simili discorsi.

Occorrono, però, prima, alcune avvertenze, proprio come nelle istruzioni che si trovano allegate a un dispositivo.

Le prime doverose precisazioni, in particolare, sono:

a)     Che ogni esame è a sé. Ogni facoltà è a sé. E ogni professore è a sé. Il tutorial, se tutorial lo vogliamo chiamare, andrà quindi adattato alla singola situazione. Sta proprio nella capacità dello studente di elaborare una simile analisi del rischio, ossia di comprendere, o cercare di prevedere, la situazione che si troverà davanti. E adattare in tal senso la sua preparazione.

b)   Che scriverò di come preparare esami per facoltà umanistiche, perché conosco questo ambito, anche se, forse, alcuni principi valgono per tutti i settori. Per ciò che, invece, riguarda test scritti, laboratori, ambulatori e programmazione, preferisco non esprimermi. Non è il mio ambito di competenza.

c)     Che l’incognita di come sarà il professore il giorno dell’esame non si può eliminare completamente, ma si può mitigare, anche con mirate strategie di OSINT (raccolta di informazioni scientifiche su fonti aperte). Magari consultando fonti verificate, e non commenti di studenti scontenti.

d)   Che ho sviluppato in oltre vent’anni di esami, come tanti colleghi, una sorta di “sesto senso” per la preparazione degli studenti. Quindi parlerò anche di cosa si aspetta un professore quando interroga.

La preparazione di un esame di profitto è modulare, ossia fatta di diversi step, tutti collegati.

Individuiamo, per fare un po’ di chiarezza, questi cinque step.

1)     L’importanza della lezione e la gestione della frequenza.

2)    Il rapporto con il professore o la professoressa che si può venire a creare durante il semestre.

3)     I colleghi di studio e di università, e il loro possibile “utilizzo” fruttuoso.

4)    Il libro, o i libri, o gli articoli da studiare, e le sintesi, o appunti, o schemi del libro che saranno preparati.

5)     L’esposizione in sede di esame e la “domanda a piacere”.

1. La lezione

Il seguire la lezione correlata all’esame di profitto facilita, nella maggior parte dei casi, sino all’ottanta per cento il superamento dell’esame stesso e condiziona in tal senso la possibilità di prendere un bel voto.

Questo è noto, anche se non è possibile sempre, per motivi di tempo, frequentare.

Purtroppo la frequenza è spesso vista come un orpello. Alcuni, addirittura, si vantano di aver conseguito una laurea senza mai aver frequentato un solo giorno.

Eppure, se ci pensiamo un attimo, il frequentare (almeno i corsi più importanti) agevola sotto tantissimi punti di vista.

Si ottiene, in primis, una spiegazione del testo direttamente e senza filtro da chi ci interrogherà.

Le lezioni sono, poi, diluite nel tempo (due o tre a settimana), quindi anche nozioni complesse vengono lasciate sedimentare/decantare e si possono apprendere più facilmente. Come se l’intero programma, in altre parole, fosse trasmesso agli studenti a piccoli pezzettini.

Vi è, inoltre, la possibilità di domandare chiarimenti in tempo reale.

Si raccolgono, poi, appunti in prima persona, appunti che, poi, si ritroveranno nello studio.

Del resto, l’università, semplificando molto, si compone di quattro "pilastri": i) la frequenza alle lezioni, ii) la vita di compagnia, iii) lo studio a casa sui libri e iv) il dare gli esami. Sono tutte e quattro componenti fondamentali.

Anche se il tema trattato è ostico, anche se il docente non piace, si possono comunque usare le ore di lezione per anticipare la preparazione. Però, al contrario, il non frequentare per niente fa venire meno uno dei quattro elementi cardine.

Queste quattro parti dovrebbero essere programmate, ossia essere oggetto di uno schema, o piano di azione/metodo, che riguardi obiettivi a breve, a medio e a lungo termine.

Il lasciare il percorso universitario un po’ a sé stesso è il primo passo per fallire. Un minimo di organizzazione su semestri, singoli esami, libri da studiare, appelli e previsione degli esami è, a mio avviso, necessario.

Non c’è bisogno di fogli excel, di software, di grafici, né della gamification per rendere il percorso di studio una sfida, né di premi, tipo i croccantini per i cani, per motivare le sfide successive.

Tutti ci siamo laureati semplicemente con un’agenda e un foglio/post-it, che sono più che sufficienti. Insieme alla nostra memoria.

2. Il rapporto con il docente

L’abitudine di andare a ricevimento del docente e domandare lumi su parti del libro, o temi trattati a lezione, sta diventando sempre più rara. Ma può essere molto importante.

Un dialogo, ad esempio negli orari di ricevimento, con il professore o suoi collaboratori specializzati in alcune tematiche può risparmiare ore di studio.

Il dialogo può anche essere su metodi di studio, su testi alternativi (può capitare che il testo consigliato risulti incomprensibile), su manuali di approfondimento, o per personalizzare il programma in base ai propri interessi.

Inoltre il dialogare con il docente rende l’esame più “vivo” e meno neutro: si incontrerà di nuovo una persona con cui si è, almeno, scambiata qualche parola.

3. I colleghi di studio

Il preparare l’esame insieme, confrontandosi, può essere un metodo assai fruttuoso.

L’università è anche comunità, proprio al fine di scambiare pareri e confrontarsi su posizioni diverse.

Oggi, purtroppo, si fa comunità per vendere dispense e appunti ma, raramente, per discutere di autori, di pagine, di teorie.

Il dialogare ad alta voce con colleghi su temi del libro prepara anche all’esposizione davanti al professore.

In molti consigliano, soprattutto all’inizio, di evitare il gruppo per un timore di perdita di tempo e deconcentrazione. Ovviamente, c’è gruppo e gruppo. Sarà semplice comprendere se è un gruppo che, pur con momenti di socialità e convivialità, sia in grado di portare frutti, o che conduca semplicemente a una perdita di tempo.

4. Lo studio del materiale: libro, appunti, registrazioni

Quando viene il momento di studiare per andare a sostenere l’esame di profitto, il metodo diventa individuale ed estremamente soggettivo. Ma ci sono alcune regole, secondo me, fondamentali.

Primo: il tempo necessario per digerire un libro, soprattutto se di molte pagine, non si può ridurre nè si improvvisa. Un libro, se studiato bene, ha bisogno di tempo e di frammentazione dei contenuti.

Tre mesi sono, di solito, un tempo ragionevole per comprendere bene un libro di media lunghezza e complessità.

Si pensi che in alcune facoltà umanistiche sono consigliati libri cui autori hanno dedicato una vita intera. Libri di letterati, di filosofi, di scrittori e poeti.

Il primo errore è, allora, quello di ragionare con il numero di pagine. Il numero di pagine non vuol dire nulla. Sono i contenuti e la loro difficoltà. 5 pagine in un’ora, o dieci, o due se contengono un concetto, o venti se sono discorsive. Non si possono prevedere le pagine che si riusciranno a studiare con profitto in un determinato lasso di tempo.

Anzi, potrebbe essere molto utile studiare più pagine di quelle suggerite per chiarire punti o passaggi.

È, invece, utile sezionare blocchi finiti di pagine, ad esempio dandosi piccoli obiettivi di poche pagine al giorno che abbiano, però, un senso compiuto per suddividere il lavoro. Un capitolo, un paragrafo, senza lasciare percorsi di apprendimento a metà.

Occorrerà, però, fare un riepilogo e portare tutto a unità.

Il libro va, innanzitutto, comprato. Il fare esami su dispense o sunti è moda deleteria.

Il libro andrebbe poi comprato con largo anticipo per utilizzarlo durante le lezioni: il primo “passaggio” sul libro si potrebbe già fare durante il semestre, per non trovarsi a dover studiare qualcosa di completamente nuovo.

Il libro dovrebbe arrivare al giorno dell’esame vissuto. Spesso si presentano, in esame, studenti con ancora il libro intonso. Lo hanno chiaramente acquistato per farlo vedere al professore. Ma la rilegatura delle pagine è ancora integra.

Sono molto rari, inoltre, gli studenti che hanno il libro davanti a lezione.

Il libro va studiato e capito. Per capirlo, oggi con le fonti di informazione che ci sono, a disposizione sul telefonino, non è affatto difficile: è sufficiente collegarsi e verificare la fonte.

Per studiarlo, si entra nel gusto personale e nella prassi individuale.

Di solito, il metodo molto diffuso della tripla lettura iniziale dà, generalmente, buoni frutti. È il cosiddetto approccio tripartito allo studio.

Una prima lettura ad alta voce, lenta, con cura, che abitui anche il nostro udito a sentirci pronunciare certi termini, spesso nuovi, che inevitabilmente dovremo usare davanti a un professore. Nel caso ci fossero dubbi con accenti o inflessioni delle lingue straniere, Internet può aiutare. Già durante questa lettura si possono iniziare a prendere appunti in macro categorie.

Poi una seconda lettura più approfondita, che inizi a fissare nella memoria alcuni concetti.

Questo è il momento nel quale ci si rende conto della potenza della nostra memoria, posto che lo studio a memoria viene dopo la comprensione dei concetti.

Ci si rende conto anche delle proprie capacità. C’è chi ricorda subito, e chi per ricordare ha necessità di ulteriori letture.

Infine, una terza lettura/studio che mira a individuare tutti gli elementi necessari per superare l’esame. Finalizzata a individuare le cose importanti da dire, e a sapere come dirle.

Il problema dello studio di un manuale partendo mesi prima è che, poi, le nozioni devono rimanere fresche al momento dell’esame di profitto.

Importante allora è comprendere i punti deboli del libro.

Ci saranno, inevitabilmente, parti più conosciute e parti meno note. Occorrerebbe non fissarsi su quelle più note autocompiacendosi ripetendo sempre le stesse (certo, può essere utile per una domanda a piacere).

Circa, invece, gli schemi, le sottolineature, la creazione di sunti, grafici, lascio qui all’inventiva personale. Sono convinto che siano un accessorio, e non l’essenza dell’esame: molto utili nelle settimane precedenti per riordinare schemi mentali e percorsi che sono, però, estratti dal libro.

Lo studiare su riassunti senza aver letto il libro, soprattutto riassunti altrui, porta a una conoscenza chiaramente superficiale e nozionistica.

Molto utili possono essere invece i materiali aggiuntivi: conferenze podcast o altri scritti del professore che, spesso, recuperano temi del corso soprattutto se il professore è esperto in un determinato ambito.

La tendenza deve essere ad allargare, e non a restringere; ad aumentare il numero di nozioni e di pagine da studiare e non a cercare sempre il minimo.

Ci sono, inoltre, propedeuticità e libri fondamentali. Una buona conoscenza dei due o tre esami principali aiuta di solito anche nella comprensione delle nozioni in altri esami. Gli esami, insomma, non sono isole.

Importante è anche individuare i temi principali all’interno del libro. È difficile che in un libro di mille pagine tutto abbia lo stesso livello di importanza. Vi sono temi che sono più cari anche a chi lo ha scritto.

Lo studio disperato e folle negli ultimi giorni è, di solito, deleterio. È la costanza che conta. L’ultima settimana dovrebbe essere di rifinitura mentre, di solito, è il periodo dedicato al vero studio.

Mattina o notte? Dipende. L’importante è avere mente fresca e tranquillità. 4 ore al giorno sono più che sufficienti, se portate avanti con costanza.

5. L’esposizione in sede di esame

Anche l’esposizione in sede di esame varia tantissimo a seconda del carattere della persona.

Ci sono, però, alcuni aspetti che sono rilevanti.

Il primo consiglio è di presentarsi con uno o due argomenti in cui si è veramente sicuri. La "domanda a piacere" può sempre capitare, e non si dà certo bella impressione se non si sfrutta questa occasione al meglio.

Il secondo consiglio è di far vedere di avere il dominio del libro, creando spesso dei collegamenti nel discorso.

In poche parole, si dovrebbe far vedere al professore che si è in grado di “saltare” senza problemi da un capitolo all’altro, o da una nota all’altra, non divagando ma sempre a  senso. Che ci si sa orientare in ciò che si è studiato, insomma.

Qui possono aiutare degli schemi che replichino un po’ il formato ipertestuale.

Al professore, durante l'interrogazione, interessa di solito più la passione dello studente per ciò che ha studiato che la nozione in sé. Il far vedere che si sono approfonditi e ampliato i temi più importanti. Che si è letta l’introduzione. Che si sono compulsate le note.

Fondamentale è andare diretti al punto della risposta, senza (ri)partire ogni volta dall’approccio universale (anche perché il professore lo risente tutte le volte, soprattutto se ha scritto lui il libro).

Essenziale è ragionare e anche criticare, meglio se in maniera molto pacata, per fare emergere il proprio pensiero critico.

Negli esami molto lunghi, il saper collocare immediatamente il tema domandato in un Capitolo o parte di libro permette poi, nell’emozione, pian piano di arrivare a ciò che si sa. Si pensi alla collocazione in un codice, o in un titolo, o in un capo di una Costituzione, o in una specifica parte del codice penale, o in un periodo di vita di un filosofo.

Un bel voto deriva non solo da cosa si sa ma anche da come lo si espone e da cosa si porta di nuovo in discussione. Si riesce a comprendere se vi è passione in quello che è stato studiato o se si è fatto un semplice compitino.

Anche il simulare prima l’esame con colleghi non è male, anche se l’ambiente diventa più confidenziale e meno autorevole, quindi la tensione può essere poi, durante l'evento reale, maggiore.

Conclusioni

Il metodo di studio si può cambiare nel tempo, è chiaro, ma se si riesce a fissare sin dall’inizio un approccio che ci soddisfa, e che comincia a dare buoni frutti, abbiamo in mano un tesoro che sarebbe da portarsi dietro per sempre.

Non bisogna aver paura, soprattutto, di fare di più di quello che è strettamente necessario: nella cultura e nella vita di una persona non c’è il "di più": c’è l’approcciare in modo saggio un obiettivo che ci si è dati.

Se ci si tiene veramente, a questo obiettivo, i suggerimenti che ho dato poco sopra possono essere, a mio avviso, un buon punto di partenza.