Storia e fatti dell’hacking (S01 E02): La definizione di “hacker” di Brian Harvey
Brian Harvey, attento studioso della University of California at Berkeley, in un’appendice a un suo paper del 1985 dal titolo Computer Hacking and Ethics si sofferma sulle origini e sulla etimologia del termine hacker, raggiungendo conclusioni interessanti.
Noterete che la definizione non è soltanto molto completa, ma spazia dalle origini alle possibili interpretazioni di tale termine. Ancora oggi, sono decine le definizioni che riguardano questo termine, e molto spesso studiosi, tecnici e semplici appassionati non riescono a raggiungere un accordo su tanti aspetti.
L'ho riportata perchè mi sembra un ottimo punto di partenza.
Harvey scrive:
“Il concetto di hacking è entrato nel mondo della cultura informatica al Massachusetts Institute of Technology negli anni Sessanta. Un’opinione comune e condivisa, al MIT, poneva come dato di fatto che esistessero, in tale Università, due tipi di studenti, i) i tools e ii) gli hackers. Un tool è un soggetto che frequenta con grande regolarità le lezioni in aula, che si può trovare quasi certamente nei locali della biblioteca quando non ci sono lezioni, e che consegue regolarmente ottimi voti. Un hacker è, in un certo senso, l’opposto: un soggetto che non frequenta le lezioni e che dorme tutto il giorno poiché trascorre le notti svolgendo attività divertenti invece di studiare. Non si pensava, allora, che ci potesse essere una via di mezzo tra questi due tipi di studenti. Cosa ha a che fare questa distinzione con il mondo dei computer? In origine: nulla. Ma, ben presto, si diffuse l’idea che si potessero individuare degli standard su come avere successo anche come hacker, proprio come gli ottimi voti erano il fattore di successo, il parametro di sfida, per un tool. Il vero hacker non riesce a rimanere senza far nulla per tutta la notte: deve coltivare un hobby, una passione, e di solito lo fa con incredibile dedizione e attenendosi a determinate regole. Questo hobby può riguardare il mondo della telefonia, o i trenini e le ferrovie (che siano modellini, reali, o tutti e due), o lo status di fan accanito di film e serie di fantascienza, oppure la radiofonia amatoriale o in broadcasting. E, sovente, gli hobby che interessano agli hacker sono più di uno di questi. Oppure possono essere i computer. [Si noti che, nel 1986, il termine hacker è generalmente utilizzato, tra gli studenti del MIT, non per riferirsi ai computer hackers, ossia agli hacker con una forte passione per l’informatica e per i computer, ma agli hacker degli edifici fisici, dei palazzi, a persone che esplorano soffitte e tunnel ad accesso riservato e dove non si dovrebbero trovare]. Un computer hacker, di conseguenza, è un soggetto che “vive e respira” i computer, che sa tutto degli elaboratori elettronici, che può far svolgere a un computer qualsiasi funzione. Egualmente importante è l’attitudine hacker. La programmazione del computer deve, infatti, essere un hobby, un’attività che è svolta per divertimento, non per un senso del dovere o per denaro (non è un problema se se ne ricava un profitto, ma il profitto non deve essere la ragione alla base dell’attività di hacking). Un hacker è, poi, una sorta di esteta. Si possono individuare specializzazioni anche all’interno del mondo dei computer hackers. Un hacker degli algoritmi, ad esempio, sa tutto sul miglior algoritmo necessario per risolvere un determinato problema. Un hacker sistemista conosce tutto sul design, sul funzionamento e sulla manutenzione dei sistemi operativi. Un password hacker conosce le tecniche migliori per recuperare le password di soggetti terzi. Questo è il modo corretto in cui la rivista Newsweek li dovrebbe definire. Un soggetto che agisce per violare (crack) la sicurezza di un sistema per un guadagno economico non è affatto un hacker. Non che un hacker non possa anche essere un ladro, ma un hacker non può essere un ladro professionista. Un hacker deve operare fondamentalmente a livello amatoriale, anche se gli hacker possono essere retribuiti per le loro competenze. Può accadere che un hacker delle password il cui interesse primario sia quello di comprendere come il sistema funzioni non esiti a rubare informazioni o servizi, ma un soggetto il cui interesse primario è di rubare non è un hacker. È una questione di valore, d’importanza data a certi comportamenti”.
Si noti come la definizione di Harvey comprenda tutti gli aspetti che, nel corso di questi ultimi settant’anni, hanno caratterizzato la vita e l’ambito di operatività dell’hacking.
Le origini, connotate dalla passione per i trenini e per i lucchetti e il lock picking nei club universitari; il delicato confine con la criminalità e con operazioni in violazione della legge (la cosiddetta “zona grigia”) effettuate per pura curiosità; la necessità, comunque, di regole di comportamento (“etica”) e di indici di valore (“competenze”) e, soprattutto, l’estrema curiosità per ogni aspetto della società tecnologica.