Le caratteristiche peculiari dell’odio omofobico online
L’omofobia online è individuata come un trend molto più recente nella sua espansione: tendenzialmente un’emergenza degli ultimi dieci anni.
L’omofobia e, comunque, l’attenzione verso discriminazioni basate sul sesso sono, al contempo, fenomeni molto lenti da comprendere, e da formalizzare, anche per il Legislatore. Ciò significa, in pratica, che mentre l’istigazione all’odio o alla violenza basate su razza e religione sono comunemente prese in considerazione dalle norme, vi è l’esigenza diffusa di far sì che anche le discriminazioni basate sul sesso siano sanzionate.
Che Internet alimenti anche intolleranza nei confronti di omosessuali, bisessuali, transessuali e, comunque, nei confronti di chiunque si comporti, sessualmente, in maniera non considerata “ammissibile” da parte dell’aggressore, è cosa evidente. Al contempo, è evidente come Internet possa servire da strumento prezioso per opporsi a una simile tendenza, per coordinare le azioni di chi tutela i diritti, per diventare un catalizzatore importante di consapevolezza e un portatore di eguaglianza.
Il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri italiana ha pubblicato, nel 2013, delle Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT[1], al fine di spiegare/chiarire le definizioni più importanti e di richiamare i principi già contenuti nella raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulle misure dirette a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o l’identità di genere (Raccomandazione CM/ Rec(2010)5).
In base alla lettera di tale documento, gli Stati sono chiamati ad adottare le misure adeguate per combattere qualsiasi forma di espressione, in particolare nei mass media e su Internet, che possa essere ragionevolmente intesa come elemento suscettibile di fomentare, propagandare o promuovere l’odio o altre forme di discriminazione nei confronti delle persone lesbiche, gay, bisessuali o transessuali.
Gli Stati membri dovrebbero, poi, sensibilizzare le autorità e gli enti pubblici a ogni livello al dovere e alla responsabilità di astenersi da dichiarazioni, in particolare dinanzi ai mass media, che possano ragionevolmente essere interpretate come suscettibili di legittimare tali atteggiamenti di odio o discriminatori.
Nel quadro italiano il discorso d’odio è regolamentato, come è noto, da un’apposita legislazione (Legge n. 205 del 1993, detta “Legge Mancino”) che, però, lo circoscrive penalmente a motivazioni di razza, etnia, nazionalità o religione.
Come ha rilevato l’Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nel suo rapporto sull’omofobia e sulla discriminazione basata sull’orientamento sessuale negli Stati membri dell’UE (2008)[2], il nostro Paese non conosce ancora il concetto di “crimine d’odio” (che comprende sia la violenza sia l’incitamento alla violenza, quindi l’hate speech) declinato in funzione protettiva verso la comunità LGBT.
L’odio omofobico vanta, si diceva, problemi interpretativi dal punto di vista giuridico, soprattutto con riferimento al rapporto con la libertà di manifestazione del pensiero.[3] Il primo quesito da porsi è l’applicazione dei principi del discorso offensivo contro determinati gruppi sociali già individuati da molte norme anche al gruppo, identificato in base all’identità sessuale, degli omosessuali.
I crimini d’odio omofobico hanno la peculiarità di essere quasi sempre connotati da ciò che negli Stati Uniti d’America è definito gay bashing, ossia forme di aggressione dettate da motivi legati alla sessualità della vittima. Spesso generano indifferenza nel contesto sociale, quindi la vittima è ancora più colpita, e spesso sono portati da gruppi contro singole persone, per cui la vittima è ancora più vulnerabile.
Anche i rapporti tra bullismo e omofobia sono oggetto di studio accurato per i profili preoccupanti che presentano.[4]
Il bullismo omofobico riguarda tutti quegli atti di prepotenza e abuso che si fondano sull’omofobia e che sono rivolti a persone percepite come omosessuali o atipiche rispetto al ruolo di genere.
È un fenomeno basato su una matrice omofobica, ossia sull’idea che l’omosessualità sia una caratteristica indesiderabile e negativa. I bersagli di tale tipologia di bullismo possono essere molteplici: adolescenti che apertamente si definiscono gay o lesbiche o che hanno optato per uno svelamento selettivo ad amici intimi la cui informazione è però stata rivelata ad altri; adolescenti che “sembrano” omosessuali sulla base di una percezione stereotipica, che frequentano amici apertamente omosessuali o con familiari omosessuali. I dati di ricerca riportati nello studio indicano che il bullismo di matrice omofobica è un fenomeno non trascurabile nelle scuole.
Il bullismo omofobico, quindi, è difficilmente assimilabile al fenomeno del bullismo in generale poiché ha caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono.
Una particolare forma di linguaggio offensivo è costituita dalle etichette denigratorie, elementi che possono contribuire alla persistenza del pregiudizio e dell’omofobia e che sono molto interessanti da analizzare anche nell’ambiente online.[5] Gli Autori dello studio citato, in particolare, ragionano su cosa può accadere quando una persona eterosessuale sente un epiteto omofobo e, soprattutto, se inizia a percepire gli omosessuali in modo più negativo.
Per etichette denigratorie s’intendono singole parole che veicolano un atteggiamento negativo nei confronti della persona o gruppo a cui si riferiscono e che, negando aspetti relativi alla persona e alla cultura del gruppo d’appartenenza, esprimono una forma di de-umanizzazione molto grave.
Nel caso di etichette denigratorie riferite agli omosessuali, si parla di epiteti omofobi, che differiscono dalle etichette categoriali, ossia ai termini dalla valenza neutra che descrivono un gruppo o una categoria, e dagli insulti generici, termini offensivi che non sono specifici per un dato gruppo.
I due elementi essenziali sono la valenza negativa e l’essere applicabili unicamente a uno specifico gruppo, e lo studio dimostra come l’esposizione a epiteti omofobi possa comportare delle conseguenze sia nella percezione che gli spettatori eterosessuali hanno degli omosessuali, sia nella percezione che i maschi eterosessuali hanno di sé stessi. Le etichette denigratorie hanno così un forte impatto su coloro che ne sono spettatori: hanno effetti che vanno oltre la percezione negativa del target, ma portano anche i maschi eterosessuali a enfatizzare la loro identità sessuale e a distanziarsi da persone omosessuali, oltre a far percepire l’intero gruppo come “meno umano”.
Si afferma, in conclusione, che gli epiteti omofobi non solo rappresentano un sintomo dell’omofobia, ma contribuiscono anche alla sua persistenza.
[1] Il documento è consultabile in Internet all’indirizzo http://www.unar.it/wp-content/uploads/2014/01/lineeguida_informazionelgbt.pdf
[2] Si veda all’indirizzo https://fra.europa.eu/sites/default/files/fra-hdgso-report-part2_it.pdf
[3] Si veda, sul punto, Luciana Goisis, “Libertà d’espressione e odio omofobico. La Corte Europea del Diritti dell’Uomo equipara la discriminazione in base all’orientamento sessuale alla discriminazione razziale”, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, I, 2013, pp. 418-441.
[4] Si veda, sul punto, Luca Pietrantoni, Gabriele Prati, Elisa Saccinto, “Bullismo e omofobia”, in Autonomie Locali e Servizi Sociali, 1, 2011, pp. 67-80.
[5] Si veda, sul punto, Fabio Fasoli, Andrea Carnaghi, Maria Paola Paladino, “Gli effetti delle etichette denigratorie sugli spettatori: il caso degli epiteti omofobi”, in Sistemi Intelligenti, XXIV, 2, 2012, pp. 291-302.