Le avventure di Ivan (S01 E05): "Il matto dell’Isola vs. El Gordo"
In questa quinta avventura di Ivan, la tecnologia si ammanta di mistero (e di un po' di spionaggio...) grazie a uno strano personaggio.

Stuxnet, quando vede avvicinarsi il Matto dell’Isola, inizia ad abbaiare.
Si tratta di un personaggio misterioso che, si dice, abbia fatto mille mestieri e sia stato anche, per un breve periodo, nella Legione Straniera. Si arruolò quando era in crisi con la moglie. Dopo un ennesimo litigio, gli sembrò poca cosa uscire di casa per una notte e non rientrare a dormire, e volle fare un’azione eclatante e clamorosa: andò da Milano a Saint-Malo in macchina, vide poco fuori i bastioni il camper della legione dove si può fare il primo test fisico e fare domanda per entrare, e lui la fece.
Dovrebbe avere 55 anni, ma ne dimostra di più. Ogni volta che m’incontra, inizia a dialogare con frasi articolate che, per lui, hanno un senso e per me sovente no. Lo incuriosisco perché mi vede sempre al bar con un computer portatile schermato. Cerca di sbirciare, ma lo schermo riflettente anti-intrusione gli impedisce di vedere, e allora m’immagina come una specie di agente segreto in giro per missioni. Un agente che, come copertura, fa il buttafuori. Esatto: per lui sono un bodyguard, insomma. Nonostante il mio fisico da nerd. E subito, anche oggi, mi domanda com’è andato il mio lavoro questa estate.
«Oh ciao, bello. Hai fatto la stagione nelle discoteche in Romagna? È andata bene?»
Gli rispondo che è andato tutto bene, a parte una rissa alla Ca’ del Liscio. Mi guarda ammirato. Già s’immagina dentiere che volano, e io che cerco di riportare la calma.
Mi apre, ossequioso, la porta del bar dei cinesi in Piazza Lagosta. Ha un fare sospetto, vedo che ha in mano dei fogli, e mi fa cenno con la testa di entrare. Il bar è vuoto tranne due che giocano alle macchinette e uno al banco che osserva da qualche minuto un boccale di birra, gli parla e cerca risposte. Stuxnet, però, non ne vuol sapere di entrare, e punta le zampe. Il bar gli piace, ma è la compagnia del matto che lo agita. Lo devo trascinare a forza. Il proprietario sta sostituendo la vetrata rotta che dà sulla piazza. Mi sembra di intravedere due fori di proiettile, ma non penso sia il caso di approfondire. Siamo a metà mattina, e nella saletta nel retro non c’è nessuno. Il matto ordina due birre e inizia a parlare non appena la ragazza che ha preso le ordinazioni si allontana.
«Ho bisogno di consigli importanti, bello. Devo incontrare El Gordo. Il narcotrafficante. La prossima settimana. Per scrivere un libro su di lui.»
Non conosce il mio nome, e mi chiama “bello”. Lo guardo diffidente. El Gordo è il più importante trafficante di cocaina del Messico, e il numero tre al mondo nell’elenco dei criminali più ricercati. Non si sa dove abiti, ed è super protetto dai suoi uomini. FBI, CIA, DEA e le polizie di mezzo mondo lo stanno cercando. E ora si deve incontrare con il Matto dell’Isola? Mah. Lo lascio parlare.
«Ho un’amica scrittrice messicana che conosce una sua guardia del corpo che è amica del fiorista qui in Lagosta che è parente del vetraio la cui amante tiene corsi di spagnolo alla mia donna delle pulizie, e sono riuscito finalmente a fargli avere il messaggio che sono uno scrittore molto famoso in Italia e che voglio scrivere un libro su di lui. La vanità, bello, è una brutta bestia, credimi, e dopo un mese mi ha risposto che sì, gli interesserebbe la cosa, e mi ha mandato una lettera con le istruzioni dettagliate su come procedere per incontrarlo e per stare con lui qualche settimana e scrivere il libro sulla sua vita. Le istruzioni erano in spagnolo ma le ho fatte tradurre. Sono tutti termini informatici. Avrei bisogno che tu me li spiegassi. Non posso rischiare di sbagliare qualcosa.»
Mi porge un foglio di due pagine a quadretti scritto con grande precisione, in uno stampatello curato. Sembra vergato da un bambino. Profuma di detersivo per pavimenti, quindi probabilmente lo ha tradotto la sua donna delle pulizie. Lo leggo, e mi stupisco. Sembrano proprio istruzioni vere. Lui attende e mi guarda, e vuole che io gli spieghi. Ma io, invece, lo metto in guardia.
«Lo sai, vero, che incontrare un criminale non è una buona cosa? Potresti finire nei guai.»
Mi risponde con un sorriso, e si accende una sigaretta. Stuxnet abbaia, odia il fumo. E anche la cinese gli lancia uno sguardo assassino. Ma lui non ci fa caso.
«Tutta la mia vita è un guaio, bello. Forza, mi traduci cosa devo fare?»
Inizio a leggergli le istruzioni ad alta voce.
«Allora, la prima regola che ti danno è che devi lasciare qui in Italia tutti i tuoi apparecchi. Smartphone, tablet, computer, chiavette, dischi esterni, macchine fotografiche. Non portarti dietro nulla. Penso sia normale: le reti e le tecnologie tradizionali sono viste, dai più paranoici, come ambienti ostili, sono controllate, quindi non vogliono che tu vada in giro con tecnologie tradizionali. In pratica ti dicono che se uno veramente non vuole essere tracciato, deve “uscire dal sistema” il più possibile. E che le attuali tecnologie, così come sono, t’impediscono qualsiasi anonimato.»
Lo vedo far cenno di sì, e riflettere. Mi dice che ha solo uno smartphone e un tablet, e che, quindi, li lascerà a Milano. E che andrà in Messico pulito come un gattino che si è appena lavato con la sua linguetta. Mi stupisce il riferimento così dolce al gattino. Stuxnet sente “gattino” e si agita e inizia ad abbaiare, poi quando vede che non ce ne sono in giro, si rimette calmo.
La prima regola, rifletto, è valida anche nella nostra vita quotidiana. Spesso non ci rendiamo conto che tutte le nostre attività – telefonate, invio di messaggi, chat, spedizione di e-mail – avvengono in contesti informatici che non solo sono fortemente controllati ma che, molto spesso, non conosciamo nella loro architettura e, quindi, devono essere considerati come “ambienti ostili”. È oggi praticamente impossibile effettuare operazioni sui canali di comunicazione tradizionali senza essere sorvegliati. Il matto sta prendendo appunti, quindi continuo a parlare.
«Poi ti dicono che, quando arrivi in Messico, la prima cosa da fare è andare a comprare dei telefoni “usa e getta”, con SIM pre-caricate e senza indicazione dell’utente. Li trovi nei negozi di elettronica in città o ai mercatini. Si chiamano “burner phone”. Li ha usati anche la ex moglie di Tom Cruise per divorziare, quando aveva paura di essere controllata da Scientology».
Lo vedo un po’ disorientato sul punto, allora gli faccio vedere, sul mio tablet, di cosa sto parlando: sono telefoni da poche decine di dollari che funzionano non solo in Messico ma in centinaia di Paesi e che non si possono correlare a nessuna persona. Ne individua un paio da 30 dollari ciascuno, un LG e un Panasonic, e si annota di acquistarli, magari già all’aeroporto.
«Se hai difficoltà nel reperire questi telefoni, suggeriscono anche di usare SIM di persone morte che abbiano ancora un po’ di credito. I criminali le usano ovunque tranne a Napoli, dove sono particolarmente superstiziosi. Le trovi su eBay, oggi vanno molto quelle che provengono dalla Russia, o te le vendono in tutti i quartieri malfamati.»
Non ride alla mia battuta sulla superstizione, che era carina, ma fa cenno di sì con la testa e continua a scrivere. La seconda pagina è quella della sicurezza operativa, o OP SEC, ossia i passi che dovrà fare per mettersi in contatto con El Gordo.
In sintesi, gli spiego che all’arrivo all’aeroporto, una volta attivato il telefono, dovrà mandare un messaggio a un numero di un telefono che gli sarà comunicato da un bambino all’atterraggio. Il ricevente trascriverà poi quel suo messaggio su un tablet e lo manderà a un altro complice su un Wi-Fi aperto, il quale lo girerà a una guardia del corpo che, a voce, concorderà con El Gordo l’appuntamento.
«È la prassi tipica, vedi? Si tratta di interrompere le linee di comunicazione cambiando il mezzo utilizzato. Un modo per far perdere le tracce nel caso qualcuno stia seguendo i flussi di comunicazione. Operano a strati. Semplicemente tu non riuscirai mai a comunicare direttamente con lui, né potrai inviargli direttamente messaggi o comunicazioni vocali, ma ci saranno sempre due o tre passaggi intermedi su cui tu non avrai il controllo».
L’ultima parte della lista riguarda la creazione di una falsa casella di posta elettronica e l’utilizzo di Tor per le connessioni. Mentre per la casella di posta elettronica non è un problema (gli indico alcuni siti che permettono di creare account anonimi e a tempo che dopo alcuni giorni si autodistruggono senza mantenere i file di log), spiegarli Tor è un po’ più complesso.
«Tor è una rete anonima che è alimentata soprattutto da utenti, cui si accede con un software liberamente scaricabile, che può agevolare il mascheramento dell’indirizzo IP del tuo dispositivo. Ma non fidarti troppo, le informazioni escono in chiaro e, quindi, se non usi determinate accortezze c’è sempre il rischio che ti individuino».
Su Tor lo vedo un po’ in difficoltà, allora gli faccio vedere, con il mio portatile, come si scarica il software e gli spiego come funziona. Gli mostro anche un servizio di e-mail a tempo, che si autodistrugge dopo 24 ore e operante in un Paese con accordi di cooperazione molto blandi con tutti gli altri Stati e poco propenso a dialogare con le autorità.
A un certo punto il matto abbassa la voce e mi dice che una macchinetta fotografica se la vuole portare, e chi se ne importa delle istruzioni dei narcotrafficanti, lui è stato nella Legione Straniera. Mi chiede come fare, poi, a spostare le foto su una chiavetta e a far sì che, nel caso gli sequestrino il tutto, non possano vedere gli scatti che ha fatto.
Gli spiego, allora, le basi di crittografia.
«L’unico modo è che, dopo l’incontro, tu cifri immediatamente le tue foto. Meglio: devi cifrare la chiavetta sulla quale le sposterai e proteggerla con una password molto complessa».
Si guarda in giro e mi domanda se “bardeicinesi” possa essere una password secondo me sufficientemente complessa. Gli suggerisco di allungarla un po’, e proseguo.
«TrueCrypt, nonostante non sia più aggiornato, è ancora uno strumento molto efficace per cifrare i dati. Se vuoi ti preparo io un paio di chiavette cifrate e ti spiego come fare per “aprirle” e per copiare i dati».
In diretta, sul tavolino, avvio TrueCrypt e gli faccio vedere come si prepara una chiavetta cifrata e, dopo, come si “monta” e come si usa. Glielo faccio ripetere due volte, e mi sembra che abbia capito.
Ci avviamo alla fine della discussione e sembra capire, il matto, che non lo sto prendendo sul serio e che non credo a una sola parola di ciò che mi ha raccontato su El Gordo. Allora mi mette una mano sul braccio e mi dice, con un tono alla Bogart: «sentirai presto parlare di me».
Ci alziamo, ovviamente fa pagare a me le due birre, si allontana furtivo come se fosse nel videogioco Metal Gear Solid e mi fa ancora i complimenti, da lontano, per la stagione estiva e per le mie attività di buttafuori.
Stuxnet, quando il matto esce dal bar, inizia a festeggiare, è più sollevato, e proseguiamo verso il parchetto adiacente al Bosco Verticale, uno dei prati che preferisce.
Osserviamo il matto che gira radente i muri, e aspetta a svoltare gli angoli: si è già immedesimato nella parte. Si ferma all’edicola poco distante da noi e domanda un quotidiano messicano, senza fortuna. Ha un sorriso, sul volto. Si gira e vede che lo stiamo seguendo con lo sguardo, ci strizza l’occhio mimando una pistola con le dita.
Stuxnet inizia ad abbaiare, ma non verso il matto: Clelia sta uscendo dalla fermata della metropolitana, è venuta a trovarci a Milano, e le faccio un cenno di saluto. Dobbiamo programmare una vacanza insieme. La mia prima vacanza da tre anni.
Stuxnet fa festa a Clelia e, per un attimo, si gira e manda un abbaio di saluto anche al matto.
In fondo, il matto dell’Isola non fa male a nessuno.
Il presente racconto, nella sua versione embrionale e affiancato da un fumetto di Tommaso Milella, è stato pubblicato, per la prima volta, in "Non credevo fosse un virus" di Giuffrè Editore, un opuscolo gratuito distribuito ai professionisti del diritto al fine di responsabilizzarli nell'uso degli strumenti informatici.